31.12.07

Pensieri per l'anno nuovo

Quest'anno non è stato un anno semplice. Tutto intorno a noi sta diventando sempre più cupo ed io mi sento travolta da questa cupezza. Dalla tristezza e dalle mille imposizioni che la vita mi offre. Ci offre.
L'anno prossimo vorrei sentirmi libera di essere davvero me stessa. Vorrei avere il coraggio di farmi uscire dal pozzo in cui mi sono calata anni fa e finalmente esplodere in tutta la mia "bellezza". Vorrei ridere più di quest'anno. Vorrei sorridere senza motivo apparente, vorrei pensieri puliti, felici, allegri.
Vorrei non stancarmi. Vorrei non essere stufa. Vorrei evitare le invidie altrui, le accuse e le ritorsioni. Vorrei sentirmi viva più di ora. Vorrei amare di più e meglio.
Vorrei augurare a tutti un migliore 2008.

30.12.07

Coscienza

Il mio pensiero, caro alieno in visita, giunge a te e alla confusione che puoi provare qui.
Il nostro è un mondo strano. Sembra abbia perso di vista le cose importanti e che cerchi solo rapide soluzioni indolori.
Molti di noi non sanno fare altro che rimandare ad altri le proprie decisioni. L'educazione dei figli, la morale comune, il rispetto per gli altri. Si pensa che siano i detentori del potere, le istituzioni religiose e governative, a dover insegnare, a dare dei limiti da rispettare.
Noi umani, in realtà, siamo sempre in bilico tra ciò che è giusto e ciò che ci piace. Tra quel che ci conviene e quello che vorremmo.
Così abbiamo bisogno di sentirci dare costantemente una direzione da qualcuno che certo ne saprà più di noi. Una comoda scappatoia per evitare le responsabilità, per sentirci a posto. Lasciare che qualcuno decida per noi, senza combattere, senza metterci in gioco davvero.
Ho sentito oggi parlare di famiglia come se fosse la legge a costituirne una. Come se solo un pezzo di carta potesse stabilire quali rapporti e quanto amore ci può essere tra le persone. Come se tutti i valori in cui ognuno di noi crede avessero bisogno di una legge per avere dignità.
Io non sono una credente, non in senso stretto. Ma credo nei valori che mi sono stati insegnati da mia madre prima e dalla vita stessa dopo. E non c'è una legge che possa dare o togliere importanza ai valori in cui credo.
Giusto perchè sono parte del genere umano, anche io sono in bilico. Sempre.
Però non mi aspetto che qualcuno decida per me, che mi dia i suoi ideali, le sue credenze, giuste o sbagliate che siano. Ogni volta io devo fermarmi e pensare. E decidere.
Credo che ognuno di noi, invece di farsi imbrigliare da regole altrui, dovrebbe prima di tutto essere educato al rispetto della vita, degli altri, delle idee. Ognuno dovrebbe interrogarsi spesso riguardo ai propri valori, al modo in cui li rispetta, se li rispetta. Dovrebbe chiedersi se tutto ciò che sta facendo rispecchi il proprio modo di concepire la vita.
Ognuno di noi dovrebbe saper distinguere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, non perchè esistono delle leggi ma perchè chi l'ha cresciuto gli ha insegnato a cercare dentro di se le risposte. Io credo che in fondo siamo meglio di ciò che dimostriamo. So che dentro di noi sappiamo distinguere le cose, solo che ci fa comodo far finta di niente. Fare in modo che qualcun'altro vegli sulla nostra coscienza è un ottimo modo per fare ciò che ci pare evitando responsabilità. E dando poi la colpa a chi non ha vegliato bene se siamo infelici, se la nostra vita prende pieghe inaspettate, se niente va come vorremmo.
Visto che ce l'abbiamo, dovremmo imparare ad usarla, la coscienza. Non aspettarci che qualcuno pubblichi un manuale, che qualcuno ci guidi per mano a ciò che ci renderebbe felici nel pieno rispetto degli altri. Felici tutti, senza soprusi, senza drammi, senza eccessi. Felici senza limiti.

20.12.07

Arrivo

Per quanto lungo sia stato il viaggio, alla fine il nostro aereo è atterrato a New Delhi.
Mamma mi ha raccontato molto dell'aeroporto, di cose strane che si vedono qui. Io, che finora non sono mai stata tanto lontana da casa, ho ascoltato e imparato tutto.
L'odore è lo stesso della paglia che arriva nelle casse di oggetti nel magazzino di mamma. Un misto di spezie e di dolciastro, umido e caldo. Di vita cotta dal sole. E marcia di pioggia.
I colori sono diversi, in qualche modo. Più intensi. E tanti. E la gente... quanta gente c'è!
Nell'aeroporto volano degli uccellini. Fa caldo ed i vestiti sembrano pesare di più.
Io non sono abituata al caldo, a Torino si sta sempre bene d'estate. Anche con l'afa non c'è mai questo caldo qui. Mi guardo attorno, meravigliata. Tutto è interessante, curioso, diverso.
Il nostro taxi ci porta all'hotel. L'Imperial. Un palazzo enorme e decorato. Una reggia piena di servitori col turbante. Lunghi tappeti coprono i pavimenti, tende pesanti, arredi antichi e aria di lusso un po' demodè.
Gli indiani sono gentili, hanno dei sorrisi luminosi e gli occhi tristi ma brillanti. Tutti parlano inglese, che io conosco pochissimo. Quasi niente. Ma sono portata per le lingue, imparo molto in fretta quel che mi serve. Nemmeno il compagno di mamma conosce l'inglese, ma scimmiotta le frasi di mamma e mi fa ridere, ci fa ridere.
La nostra stanza è grande, ma ha un odore tutto suo, come l'India. E' pomeriggio, presto. Ma con l'aereo non si capisce mai bene. Disfiamo i bagagli, o meglio, li disfa mamma. Poi decidiamo di andare a fare un giro.
Qui fuori ci sono centinaia di negozietti. Una via commerciale, pare. Così mamma vuole portarci a fare un giro di shopping. Qui tutto costa pochissimo. E c'è un sacco di roba.
Usciamo dal cancello dell'hotel, io tengo per mano mamma e dall'altra c'è Gianni. Mamma mi ha detto di guardare bene dove metto i piedi, perchè in terra c'è un po' di tutto. E io guardo, obbedisco. Non vorrei mai pestare qualcosa di schifoso. O qualcuno che sta male.
Comunque il sole è forte ed io devo guardare per terra per forza.
Io non so come, ma ad un certo punto compare una mummia.
Una mano bendata ed insanguinata mi tocca una spalla ed io sussulto. Non me l'aspetto. Non la mummia, non qui e non da sveglia.
Invece la mummia c'è. Solo che non è una mummia. Sotto alle bende sporche ed insanguinate, incrostate e rigide, c'è un uomo vivo. Vivo e a pezzi. Un lebbroso. Lo guardo.
Ho dieci anni, cavolo. Ho sentito parlare di lebbra, ho visto i documentari in tv. Ma questo non è quello che ho visto in tv. Questo è qui, vivo, sporco, malato e sofferente. Chiede dei soldi. Mi tocca una spalla.
La mia paura non è la malattia, non ci penso nemmeno. Non penso al fatto che quella mano ha toccato la mia maglietta, non è lo sporco, la crosta, non sono le dita che mancano. Sento dentro di me la disperazione. La sua. Mi toglie il fiato e la capacità di ragionare.
Così comincio a lamentarmi con mia mamma. Voglio tornare in albergo, subito. Lei ci prova, a farmi fare ancora due passi, pensa che mi sia spaventata. Forse è così, ma io sento un peso fortissimo e voglio andare in stanza. Non mi importa dei negozietti, delle belle cose che posso comprarmi. Devo riposare.
Infatti, la prima cosa che faccio in India è di mettermi a letto e dormire 16 ore di fila senza alzarmi per mangiare o per fare pipì. Poi potrò ragionare...

Sex crime (1984)

Voglio affondare il viso nell'incavo del tuo collo, sentire il tuo odore penetrare le narici. Con le labbra sfiorare la pelle, col respiro solleticarla. Le dita che intrecciano i tuoi capelli chiari, le mani che carezzano la tua pelle liscia. Il tuo petto, il ventre, i fianchi, la schiena.
Voglio baciare le tue labbra, morderle piano, leccarle e baciarle ancora. Sentire il tuo gusto nella mia bocca, conoscere il tuo sapore e ricordarlo per sempre.
Esplorare ogni centimetro della tua pelle con le mani, con la bocca, con gli occhi. Godermi lo spettacolo dei tuoi occhi aperti sulla donna che ami.
Voglio guardarti. Leggerti in faccia quello che senti, anticipare i tuoi desideri. Voglio stringere i tuoi fianchi tra le gambe e tenerti ancorato a me. Sentire le tue mani addosso, sapere che quel che senti ti piace.
Voglio assaggiarti, lentamente. Prenderti e lasciarti andare in una danza continua. Voglio amarti.
Amarti, amarti, amarti.
Sentirmi una cosa unica con te, un'anima sola che si scinde in due, due corpi che si fondono in uno. Voglio fermare il tempo, restare immersa in quel momento finchè il tempo non avrà più importanza. Voglio che sia l'unica esperienza che vorrai ripetere infinite volte. Infinite volte in mille modi diversi, ma sempre unica.
Voglio sentirti, ascoltare il tuo corpo, il tuo respiro, la tua voce, il cuore, le mani, tutto. Voglio scoprire chi sei davvero, sapere cosa senti. Come senti.
Sei dentro di me, mi divori piano, mi consumi. Tu mi possiedi da sempre ed io non desidero altro che essere tua. Sei il mio sogno, la mia malattia, il tarlo che mi fa impazzire.
Voglio sussurrarti cose che non hai mai sentito prima, voglio urlare il tuo dominio, respirare insieme a te, correre, fermarmi e ancora correre, e fermarmi.
Voglio guardare le tue labbra mentre mi dici le parole che voglio ascoltare. Voglio vedere la tua lingua sfiorare i denti, voglio sentirla tra i miei. Essere il tuo mondo come tu sei il mio.
Farti felice. Sazio, appagato. Fare in modo che ogni volta che avrai fame tu cerchi me.
Voglio essere la tua isola, ancora e ancora. Tenerti in me a lungo, finchè sarà possibile, finchè lo desidererai.
La mia ossessione, il mio folle crimine è desiderare te. Solo te. Mattino, pomeriggio, sera, notte. Penetri i miei sogni e li rendi caldi. I miei pensieri diventano allegri. Le mie labbra sorridono. Il mio cuore batte ed è per te.
Voglio perdermi nei tuoi baci e nei tuoi occhi e catturarti nella dolcezza del mio abbraccio.
Io voglio amare te...

17.12.07

Lately

Mi manca l'aria.
Non riesco a respirare al solo pensiero di perderti. Stai consumando ogni parte di me, sbranandomi con avidità e rosicchiandomi sazio.
Soffro in silenzio, in segreto, sanguinando, desiderando il tuo sapore sulla lingua, nelle narici, sulla pelle. Soffro l'impossibilità di darti ciò che cerchi avendo milioni di altre cose da offrirti.
Non sono capace di amare come tu mi chiedi.
Ho bisogno di sentire forte la presenza, forte l'assenza, forte il desiderio, forte la necessità. Il dialogo, il capire con uno sguardo, il voler ridere insieme.
Ho bisogno di danzare allegra sulle note della vita che non ho avuto, che non ho vissuto.
Ho bisogno di sentirmi giovane, di sentirmi viva, di sentirti dentro. Di sapere che ogni pensiero è rivolto a me. Ho bisogno di sorridere ogni volta che ti penso. Di poterti credere.
Di avere fiducia nelle tue parole, nei tuoi silenzi. Nelle tue promesse.
Di sapere che non mi ferirai più, che non dovrò piangere, che non dovrò temere.
Ho bisogno di amare con tutte le mie forze, fosse l'ultima cosa che faccio. Dare, darmi, completamente. Senza tabù, paure, cicatrici.
Ho bisogno che tu mi lasci amare come sono capace.
Senza respiro, col cuore in gola. Con lacrime di gioia che mi solcano il volto. Lo stomaco in subbuglio e i muscoli sfiniti.
Senza aspettarmi niente in cambio, ma avendo in cambio tutto.
Non posso fingere. Non posso farlo.
Mi manca l'aria.

12.12.07

Up on the catwalk

Tu sei l'amica bella. E se in qualche modo sono stata bella anche io, lo devo a te. Ho imparato i tuoi trucchi ed ho usato i tuoi consigli finchè non ho cominciato a brillare.
Ricordo che ti vedevo sul palco e mi incantavi col sorriso, col tuo saper rendere leggero qualsiasi passo. I tuoi capelli tinti platino, la pelle chiarissima sempre truccata tranne che a lezione, quegli occhi azzurri vivaci e il sorriso. Il modo stridulo che avevi di sgridarmi quando facevo qualcosa che una brava ragazza non deve fare. La tua educazione sentimentale...
Sei l'amica bella, quella che tutti inseguivano e che cercavano di raggiungere tramite me. La diva che si trascinava dietro il cucciolo.
Mi piaceva passare il tempo con te. Al bar a parlare del tuo amore, in giro per Torino a cercare qualche nuovo make up, qualche crema, qualche gel per capelli, strumenti di tortura per piegare ciglia lunghe e curate. A scuola, nascosta al fondo dell'aula per non disturbare la tua immagine allo specchio. I tuoi modi da prima ballerina.
Sei l'amica che volevo con me. A casa, a scuola, in discoteca. Eri una specie di sorella maggiore. Non conta molto se e quanto mi hai delusa.
Mi hai insegnato a fare la donna quando ancora non lo ero, a mantenere un certo decoro, un aspetto invidiabile.
Le ore che ho passato a guardarti truccare quando finivi le tue lezioni e, dopo la doccia, ti preparavi ad accogliere lui che passava dal bar dopo i suoi allenamenti. Il tuo essere donna che diventava bambina tra le sue braccia, la bellezza negli sguardi che vi scambiavate.
Era tutto perfetto.
Quando c'eri tu c'era sempre una festa, casino, rumore, vociare e cantare. Imitare cantanti, stupire con un colpo di scena chiunque ci fosse con noi.
Si viveva in passerella. Sempre al centro di uno show. Questo mi hai insegnato e questo mi manca. Il sapere che lo show lo faccio io.
Non era importante se qualche volta si perdeva un po' di stile. Ognuno di noi ha le sue pecche.
Era divertente sentirsi parte della tua corte. Parte della tua vita. Gli sguardi di un intera discoteca piantati addosso al solo ingresso. Un attimo senza fiato.
Era bello sentire le tue lezioni di comportamento e poi vederti incasinare tutto.
Eri a casa mia, io a casa tua. Alle feste, la tua mascotte. La tua amica giovane e impaziente.
Sei la mia amica bella, quella che vive ancora e sempre su di una passerella. Lo show nel sangue. La vita che pulsa nelle vene. L'assenza di giudizio che ci univa nell'essere sempre sopra le righe.
Se sono diventata donna lo devo anche a te e alla tua frizzante ironia.

Clara e i suoi piedi

Se c'era una cosa di cui Clara era fiera, questa era la perfezione dei suoi piedi.
Piedi piccoli, un 36 che entrava anche in un 35, forti e soprattutto molto arcuati. Cosa che per una ballerina equivale ad una fortuna. Fin dai primi anni di lezione Clara aveva notato quanti sforzi facessero molte compagne e compagni di danza per dare la forma giusta ai loro piedi, per fare in modo che avessero quella linea estetica così necessaria al loro lavoro.
Col tempo aveva ricevuto i complimenti di amici, insegnanti, colleghe. Aveva imparato ad amarli come parte fondamentale del suo corpo e a riconoscerne i limiti.
Doveva sempre dosare l'energia, quando saliva sulla mezza punta e soprattutto quando doveva salire sulle punte. Correva perennemente il rischio di spingere troppo in là, di andare oltre. Certo, i suoi piedi erano bellissimi, ma le caviglie non erano fatte per equilibri così precari.
Più di una volta le capitò di farsi male, esagerando per entusiasmo con la spinta. Passi quando si trattava di mezza punta, ma una volta riuscì a prendere una storta terrificante mentre provava un balletto con le punte. Il giorno dopo aveva il piede talmente gonfio che non riusciva a metterlo a terra. Eppure, appena sparito il gonfiore, Clara era dinuovo lì a saltellarci sopra.
Coi suoi piedi faceva di tutto, riducendoli in stati pietosi ed allo stesso tempo adorandoli sempre più.
Una tendenza che cominciava a prender... piede in quel periodo era di danzare scalzi.
Chi poteva permetterselo si comprava delle speciali protezioni, una sorta di mezza scarpina da mezza punta, un infradito con una piccola suola esclusivamente per l'avampiede. Con quelle si poteva fare qualsiasi movimento senza rischiare di farsi male.
Un sistema più economico e un po' più scomodo era di mettersi del cerotto telato o anche del nastro isolante intorno al piede, sempre per coprire quella zona su cui il peso tende a farsi sentire. Restava sempre un mare di adesivo sui piedi e non c'era alcool che lo togliesse in breve tempo. Così, spesso, le ragazze danzavano scalze.
Non era un grande problema finchè il pavimento era coperto di linoleum, senza giunte troppo profonde tra i vari pezzi. Purtroppo, spesso i pavimenti su cui Clara e le sue amiche si trovavano a ballare erano in legno, regolamentari per la danza classica e anche ben tenuti, ma terribili se usati a piedi nudi. Schegge, graffi, calli infiniti. E la possibilità, che Clara ovviamente sperimentò, di appoggiarsi proprio sulla linea vuota tra un asse e l'altro prima di partire con una pirouette.
Quella volta, Clara si ritrovò a raccogliere trucioli di pelle fresca e sanguinolenta dal pavimento.
Portando con se il segno indelebile dell'evento.

Da ascoltare: "Footloose" di Kenny Loggins

8.12.07

Heaven

Tu sei la vita stessa. Sei il respiro che riempie i miei polmoni, quella scintilla che mi permette di vivere ogni giorno nell'attesa di incontrarti.
Lo so che sarà difficile che ciò avvenga, ma ho bisogno di crederci. Con tutta me stessa. Perchè amare mi rende la vita felice, migliore.
Il dolce tocco delle tue labbra mi ridarà la vita che ho perso aspettandoti. Il sorriso che finora è legato alle tue parole, dipenderà solo dalle tue carezze. Dai tuoi occhi.
Riavrò la magia che solo un incontro come il nostro può creare. Avrò una nuova giovinezza, pensieri più liberi dall'odio che porto con me. Tornerò all'innocenza dell'anima che un tempo avevo. Mi sentirò libera.
Libera di amarti con ogni cellula, di donarti tutto ciò che sono senza timore. Voglio offrirti mille volte quello che chiedi ed avere solo il tuo respiro sulla mia pelle in cambio.
Mi sei mancato, mi manchi da così tanto tempo che quasi credevo non esistessi. Che fossi frutto della mia immaginazione, del mio essere inquieta. Credevo fossi solo un bel sogno.
Ed ora ci sei, quasi alla mia portata, quasi palpabile anche nei sogni. Ma sei vivo e sei qui. Vicino quanto basta a percepire il tuo profumo nell'aria.
E così lontano che quasi la distanza mi uccide. Come se fosse invalicabile pur non essendolo. Vorrei essere io per te quel che tu sei per me. Ma non chiedo tanto, mi accontento di lasciare che tu possegga la mia anima come un tempo, che inondi con la tua forza le mie vene e che mi porti via dal mio corpo, per sempre.
Non ho un sogno che non ti riguardi, un sorriso che non parli di te. Non ho altro in questo mio cuore che il desiderio di sfiorarti ancora una volta.
E se fosse tutta un'illusione non importa. Voglio vivere di questo sogno e non svegliarmi più. Voglio credere che sia vero, nonostante tutto. Non mi importa, perchè sei la cosa più vicina al paradiso che io abbia conosciuto. Guardare il tuo viso è la morte di ogni realtà. Persa nei tuoi occhi io non posso far altro che lasciarmi andare.

5.12.07

Forever Young

C'era quel tempo in cui ridevamo insieme. Tempo di musica, di canzoni ascoltate tra una lezione e l'altra, cantate nella saletta del bar. Ce ne stavamo lì, beate, a pensare che il tempo non sarebbe mai passato. Che non ci saremmo allontanate mai l'una dall'altra. Insieme per sempre, a scuola, nelle giornate in cui non ci andavamo, nelle serate in cui potevamo uscire insieme. A ballare, a correre per rientrare a casa. Insieme sulla golf nera di due idioti.
Insomma, c'era quel tempo in cui vivevamo senza grandi paure, se non quella di non farcela.
Stavamo abbracciate per ore e ridevamo per niente. Ci scrivevamo poesie con troppa eternità dentro e con grandi promesse d'amore. Ancora osavamo promettere qualcosa senza sentirci ipocrite.
Non ci sono promesse. Non ci sono più le nostre risate. Era la fine del sogno, ti ricordi? Avresti scritto per me, un giorno. Invece ci sono io che scrivo di te.
Quel tempo mi manca. Mi mancano tutte le cose stupide che riuscivamo ad indossare pur di essere notate. Pur di distinguerci dagli altri. La feccia. Gli insensibili.
I tempi in cui venivi a prendermi alla stazione ed io ti accompagnavo al bus dopo le lezioni. Quando non ci costava niente scherzare con gli altri ragazzi e fare amicizia con qualcuno. Quando facevamo follie insieme pur di trovare un ragazzo che ci piacesse.
Mi mancano le passeggiate sotto ai portici e le pirouettes, i salti, i balletti improvvisati sulla via della scuola. Le giornate delle prove a scuola, accoccolate in un angolo a guardare i primi ballerini. Quelle delle prove in teatro, sedute in platea al buio, sgranocchiando schifezze e acconciando i capelli in modi ancora più improbabili dei nostri vestiti.
Chissà che cosa mi ha fatto pensare che sarebbe durato per sempre. Forse il tuo sorriso. O la mia speranza che voleva intensamente che durasse.
Non ho mai avuto intenzione di perderti. Eppure te ne sei andata, o me ne sono andata io. Ormai è fatta.
Abbiamo avuto idee folli. Ci siamo lanciate nel turbine della vita senza paracadute e con gli occhi bendati. Non importava nulla finchè eravamo insieme. Era tutto fantastico. Persino passare la notte con un ciccione antipatico, parlando senza interruzione, affinchè tu potessi stare col suo amico. E riderne ancora per anni.
Baciare la tua bocca sapendo che i ragazzi ci guardavano. Farli impazzire coi nostri corpi giovani, allenati, forti. Non poteva fermarci nessuno.
C'era quel tempo e c'eravamo noi. Eravamo una cannonata. Una cosa sola. Mi sentivo perduta senza di te, senza i tuoi denti piccoli e le tue labbra scure. I tuoi disegni e la tua calligrafia. Senza la tua complicità sono diventata triste. Era difficile un'intesa come la nostra.
Era difficile una vita come la nostra, difficile che durasse quanto volevamo.
Quanto la cantavamo, urlando, "Let us die young or let us live forever". Andando su fin dove la nostra voce arrivava, sperando fosse vero.
Io, se chiudo gli occhi, lo spero ancora...

Un lungo viaggio

Ho dieci anni.
Un caschetto biondo, un fisico normale, una grande vitalità. Sono impazzita per Star Wars, che ho visto da poco al cinema trascinando chiunque mi desse ascolto a vederlo. Per la bellezza di venti volte in poco più di un mese. Sono figlia unica e amo stare sola. Chiudermi in camera mia a disegnare, arrampicarmi su qualche albero per leggere, imparare l'inglese dai testi dei Beatles. Mi piace l'aria aperta, camminare a piedi nudi nella neve, mangiare con le mani, giocare col mio cane Ringo.
Adoro sognare storie che non ho mai letto anche se non ho ancora letto molto. Cantare a squarciagola, strillare acuti nel giardino di mia nonna. Storpiare i testi di canzoni e poesie per dire la mia. E decisamente non amo la scuola.
E' la primavera del 1980, e sto per andare in India con mia mamma.
Un'occasione unica, mi dicono. Forse perchè il biglietto per i bambini è poco costoso e perchè mia mamma continua ad andare là e a tornare con delle cose bellissime. Oppure perchè per una volta, finalmente, ci andrò anche io.
A dire il vero non è che viaggiare mi sia mai piaciuto molto. Ho sempre sofferto la macchina. Dei mal di testa tremendi e una gran voglia di rimettere. Mia mamma è eccitatissima, prenderò l'aereo e farò un viaggio lunghissimo. Non sono contenta?
La mia preoccupazione principale, invece, sono i vaccini. Odio i medici e le iniezioni. Questo da quando il pediatra mi ha vaccinata da piccola facendomi un male tremendo. Io non perdono.
Però stringo i denti, all'ufficio di igiene. Mi faccio vaccinare come una bimba grande e tento disperatamente di non mostrare il mio disappunto.
Che male, però.
Quello che mi fa abbastanza schifo è il chinino, per la malaria. Le pastiglie sono amarissime e ne devo prendere un sacco. Odio anche le pastiglie. E una serie di altre cose che elencherò pian piano.
Non ho paura dell'aereo. Mia mamma è andata tante volte in aereo e non le è mai successo niente. Quindi non mi spaventa. Poi, in ogni caso, lei sarà con me. Questa è l'unica cosa importante. Saremo insieme.
Insieme a noi, come al solito, c'è il compagno di mia mamma. Lui che non ci molla mai un attimo. E' simpatico, quando vuole. Ci sa fare in qualche modo, ma è un disastro ugualmente. Forse è la mia mamma che è super, però lui mi sembra davvero imbranato.
Non devo occuparmi di niente, tranne di decidere cosa voglio portarmi dietro. Proprio con me sull'aereo, non coi bagagli. Non esito nemmeno un istante. Con me viene il libro di Star Wars, che ho appena iniziato a leggere. Non capisco perchè mia mamma guarda il cielo ogni volta che nomino il film, mi ha detto che le piaceva... Però sembra contenta del fatto che io ami leggere.
Mamma è preoccupata che io non mangi. Lo sono sempre tutti, in effetti. Io non mangio molto. Fin da piccola hanno sempre fatto fatica a farmi assaggiare cose nuove e a farmene mangiare a sufficienza. Tranne la Nutella, quella la mangio volentieri. E le merendine Fiesta, anche se mi scatenano l'acetone e le vomito regolarmente. In ogni caso, mamma è previdente e aggiunge alla valigia un sacco di generi alimentari di mio gusto: sottilette, formaggini Mio, insomma qualche porcheriola che posso gustare se non mangio regolarmente.
Pare che in India tutto sia piccante e che sia completamente diverso da qui.
Andiamo da Torino a Roma, per prendere il volo che ci porterà a Delhi. Mamma mi ha raccontato un sacco di storie divertenti sui suoi primi viaggi in India. Pare che fosse rimasta sconvolta, per questo mi ricorda spesso quegli episodi. Devo essere pronta.
Si è messa d'accordo col suo rappresentante, un giovane italo-indiano di nome Shomir, per farci fare un giro anche turistico. Perchè mia mamma ci va per lavoro. Lei importa cose che si chiamano articoli da regalo e che vende ai negozi. C'è un po' di tutto, dall'ottone al vimini, alla cartapesta, al marmo. Quando vado con lei al lavoro gioco spesso con alcuni di questi oggetti e mi diverto un mondo quando arrivano le casse dall'aeroporto con le nuova merce. Mi piace aiutare mia mamma a ordinare le scatole e mettere i prezzi sul campione che resta in vista. Sono una bimba poco ordinata, ma lì sono diversa.
Sull'aereo, mia mamma mi dà una gomma da masticare. Dice che così il decollo non mi darà fastidio alle orecchie. Io la prendo volentieri. Le Brooklyn mi piacciono molto, soprattutto le peppermint. Una volta raggiunto il nostro posto, mamma mi sistema accanto al finestrino ed io tiro fuori il mio libro. Lei mi allaccia le cinture ed io comincio a leggere. Quasi non mi accorgo del decollo e mamma ne è un po' delusa. Pensava che sarei stata emozionata. Invece no.
Dopo Roma, dove cambiamo aereo e ne prendiamo uno più grande, facciamo scalo ad Atene, in Grecia. Lo so che lo sapete dov'è. E' che a me, patita di storia e di mitologia, la Grecia fa più effetto degli aerei. Prima di atterrare e dopo il decollo passo il tempo col naso al finestrino, cercando gli Dei... Per poi tornare al mio amato libro. Unica sosta per il film. Buffo vedere un film con delle cose di gomma azzurra nelle orecchie. Dicono che sono cuffie, ma le cuffie dello stereo di mio nonno sono ben diverse. Boh...
In effetti le cuffie sono una gran cosa. Dopo il film ci gioco a lungo. Passo da un canale all'altro senza sosta. Cambio lingua in pochi istanti, poi c'è la musica classica che piace ai miei nonni e quella jazz che piace a mia mamma. Lei e il suo compagno sonnecchiano. Io, come al solito, sono sveglia come un grillo. Non è l'aereo. Sono io che posso passare il tempo come mi pare. Invisibile e sopra alle nuvole...

Lasciami

Prima o poi la leggerete dinuovo...
Per ora devo toglierla.

4.12.07

Kayleigh

Io ti ho già visto.
Il tuo viso mi appare come se sbucasse dalla nebbia dei ricordi, guardandoti so già quali sono le tue espressioni, il modo che hai di passarti le mani nei capelli o di fermarti a pensare prima di dire qualcosa. Eppure non so quando ho imparato il linguaggio del tuo viso, in questa vita quasi sconosciuto.
Mi ricordo di te e non ho pace, perchè non so da quale mondo provieni e in quale modo mi toccherai stavolta. Dentro di me lo so che mi hai già toccata, forse mille volte e ancora.
Nella mia mente ho immagini tue che non ho registrato io. Tu sei qui e non so perchè. Non so se sei tornato da me o se stavo fuggendo io. Non so se mi hai seguita e da dove, da quando.
So solo che finchè non mi sfiorerai dinuovo io non avrò quiete.
Non desidero altro e allo stesso tempo ne ho il terrore assoluto. Tu sei qui.
Sei nei miei pensieri, il primo colore che vedo senza aprire gli occhi. La sensazione di poter toccare le tue mani senza che tu sia presente, il desiderio di farlo che rincorre i miei momenti con te.
Le tue mani forti. I tuoi occhi dolci e sicuri. Il tuo sorriso che mi sembra così familiare quando so che non è qui che ti ho conosciuto.
Vorrei sentire il tuo calore. Tenere il tuo cuore tra le mani, la tua anima in pugno. Vorrei baciare il tuo viso ed il tuo corpo come un tempo so di aver fatto. Tu mi hai rapita. Hai preso il mio tempo, il mio sguardo ed ora torni a me.
Non so quando riuscirò a riviverti. So che quando il tuo respiro si unirà al mio avrò tra le labbra il sapore dell'eternità. Avrò insieme passato, presente e futuro. Avrò un istante di vita vera.
E la pace, l'unica cosa che cerco.

2.12.07

Sadness, part I

Nel buio e nel silenzio.
Le lacrime che scendono senza che io possa fermarle, il grido di dolore che si ferma nel mio stomaco ma che rimbomba nella testa e fa tremare il mio corpo. Questa prigione mi spaventa. Questo non riuscire a sentire la gioia dentro me. Vederla solo nel cielo e tra i rami.
Cercarla negli occhi degli altri. Disperatamente.
Cercarla ogni giorno, sempre.
Non so cos'è questo dolore. Non l'ho mai capito. L'ho dominato, qualche volta. Altre volte ho cercato di dimenticarlo, il più delle volte riuscendo a farlo diventare un sottofondo costante. Un rumore sordo sotto alla melodia della vita, della mia e di quella altrui.
Ho sempre capito la sofferenza, mi basta uno sguardo.
Riesco a leggerla e a sentirla negli occhi degli altri. E vorrei poterla dimenticare, per un attimo. Vorrei ridere e non sentire il peso che mi trascina giù. Cancellare tutto quello che mi ha resa come sono. Troppo sensibile e troppo disarmata.
Ci sono momenti in cui ringrazio di essere ciò che sono, momenti in cui per nulla rinuncerei alla mia disponibilità a soffrire con gli altri, a piangere i lutti altrui. Momenti in cui accetto in pieno la mia natura pur non comprendendo quale sia la mia missione.
Non ho motivo di sentire dolore. E non ho paura di sentirlo, non ne ho da molto tempo. Ma ho paura di me e di poterlo provocare negli altri.
Sono solo stanca. E piango da sola il mio dolore, al buio, senza sapere da dove viene.
Non è l'abbandono, non è per il male subito, non è per la disattenzione di chi ha calpestato i miei pezzi sparsi a terra (e qui cito Vecchioni, lo so). Non è amore non ricevuto. Potrebbe essere amore non dato. L'amore che non mi sono concessa. L'amore che non provo per me stessa e per la mia vita, quello che non sono riuscita a dimostrare per gli altri che mi hanno amata.
L'amore, non è quella l'unica cosa che conta?
Ma se davvero io ho imparato ad amare, perchè questo dolore mi schiaccia ancora?