30.1.14

Revisioni

Accoccolata sul divano rosso con il portatile in grembo, mi accingo a rivedere il romanzo per il torneo Gems. (Da qui in poi IL romanzo, visto che non posso nominarne il titolo per regolamento)
Fuori ha smesso di nevicare da un po', purtroppo; anche se è notte e non vedrei granché, comunque mi dispiace. Vorrei svegliarmi in un mondo bianco, per una volta.
Ma non è questo il giorno.
Sposto da un file all'altro il pezzo da revisionare, non chiedetemi perché, sto ri-trasportando IL romanzo su un file nuovo come se lo stessi riscrivendo, una paginetta per volta che giro e rigiro finché non è a posto e da salvare insieme al pezzo precedente. Comunque... mi metto al lavoro.
Faccio un pezzo, faccio il secondo.
Li sento, nell'alloggio accanto. Fanno l'amore, è chiaro.
Non è più il ritmo sincopato e folle di un tempo. Lady Giuliva, la vicina, è cresciuta. E il suo compagno non è più l'ultimo dei mohicani, o Joey Trivella che dir si voglia. Quindi le pareti reggeranno all'amplesso. E le mie orecchie pure. Perché l'anno scorso è stato complicato dormire, in certe notti.

Ora no, li sento ma non sono sgradevoli.
Sento lei, più che altro. Si sa, lei gorgheggia. Poi si fermano e ridono, poi riprendono. Mi sembra bello che lo facciano. Ridere, dico.
In questo momento, almeno. Mi piacciono le persone felici. Forse perché finalmente ho idea di che cosa sia, questa benedetta felicità.
Faccio fatica a concentrarmi, dopo. Avrei voglia di carpire loro qualche parola, il segreto del loro riso. Poi mi rendo conto che non c'è un segreto vero. C'è quello che si sente. E se si sente qualcosa che spinge a ridere, vuol dire che quel qualcosa fa bene.
Così salvo il file, chiudo IL romanzo, aspetto che finiscano giocando a Candy Crush, perché tanto mi terrebbero sveglia comunque.
E sorrido, perché sono felice.

ERRATA CORRIGE: Joey Trivella è ancora il trapanatore ufficiale, solo, forse, ha perso un po' di quella foga iniziale... chissà, sarà vero che dopo qualche tempo la passione... scema?
(Mai quanto sono scema io, lo ammetto. Ma li adoro, quei due.)

29.1.14

Cuore

Un argomento tra quelli trattati alla presentazione di Trino riguardava l'educazione alla lettura della poesia.
Ora, io non sono una fanatica della poesia. Lo so, le scrivo. Le leggo anche, quando capita. E mi piacciono, alcune, come può succedere che mi piaccia un quadro, un film, una melodia, una canzone.
Fatto sta che una delle partecipanti mi ha chiesto se secondo me fosse necessaria una educazione alla lettura della poesia.
Quello che penso, opinione personale che chiunque può fare sua o rifiutare, è che ci sia la necessità di educare alla lettura in generale. Non solo, educare al bello sarebbe ancora meglio.
Un tempo ci facevano studiare a memoria alcune poesie. Il leggere e ripetere a lungo dei versi in qualche modo ci aiutava a entrare nel significato più profondo. Certo c'era da perderci del tempo, e di tempo non ne abbiamo più nemmeno da piccoli. E questo è già un peccato.
Però non basta. So che per amare la lettura serve leggere, e leggere di tutto. Senza limiti.
Serve una spinta a innamorarsi della parola, della parola ben scritta, del suono che la lettura ad alta voce produce. Serve imparare ad amare le storie, prima di tutto. Esserne curiosi e avidi.
Avidi di vita, perché la lettura è solo e semplicemente vita.
I libri non sono "roba morta", ma non sempre a scuola ci insegnano ad amarli. A me non l'hanno insegnato. Solo la libertà che avevo in casa di prendere in mano qualsiasi volume mi venisse in mente e leggerlo, senza limite di tema o di contenuti.
Credo anche che la poesia, come l'arte, tocchi più certi animi di altri. Non so se dipenda da un'educazione, questo. Credo che ognuno di noi capisca le cose a seconda di chi è. So che non sono chiara.
Oggi dicevo che il mio cane è intelligente, ma non saprebbe distinguere un Picasso da un manifesto pubblicitario (forse a volte nemmeno io). Non è colpa sua e certo se anche glielo spiegassi, davanti a un altro Picasso e un altro manifesto non capirebbe di nuovo la differenza. So che quando leggiamo in più persone la stessa poesia, ognuno capisce una cosa diversa. Ognuno sente una cosa diversa.
E si può educare a sentire?
A emozionarsi davanti a un tramonto? A piangere al suono di una voce angelica? A rabbrividire per un passaggio musicale, per una frase ascoltata o letta?
Chi ci può insegnare il cuore? 

28.1.14

Altre storie

Quattro chiacchiere con una persona di fiducia e ci troviamo a ridere insieme di quello che sono e di quello che ero. Fa piacere vedere che quello che sento dentro si veda anche all'esterno.
Che lo veda chi mi guarda negli occhi e chi anche solo mi legge nel pensiero.
Che io finalmente sia fiera di me. Di tutto. Comprese le cose che un tempo mi hanno fatta soffrire.
Oggi mi sento libera.
Poi rifletto sulla complessità delle relazioni, parlando con un'amica che è sempre in guerra con sé e con il marito. E le rispondo che io no, io non sono più in guerra. Nemmeno con me. Ho vinto.
Ci sono voluti anni, è vero. Ma è venuta fuori la mia natura e ora che so, non posso che esserne felice.
Mi sto mettendo alla prova.
Scrivo e riscrivo. Faccio il possibile per dare il meglio.
Mi dico da sola le cose che la psicologa sta per dirmi, e lei ride. E scrive sempre meno sul suo quaderno.
Sto lavorando bene. Su di me, sulle mie passioni, sulla forma e sul contenuto.
E amo quello che faccio.
Le cose si muovono, so che sto dicendo tutto e niente. Ma le cose si muovono.
Sono - anche se in quella cosa lì non ci credo - felice.
Sensazioni.
Non si capisce il titolo?
Lavoro, lavoro al romanzo, lavoro alla revisione, lavoro per il giornale. I miei personaggi, la mia vita, tutto insieme. Storie di vite che cambiano e che diventano ciò che devono essere.

21.1.14

Una domenica in biblioteca

Domenica mattina sveglia presto e via, alla volta di Trino Vercellese, dove l'associazione culturale Gruppo Senza Sede ha organizzato per me una presentazione di Parole d'amore insano.
La location scelta era la sala della Biblioteca Comunale, un luogo spettacolare, in cui una quindicina di temerari ha non solo assistito alla presentazione, ma anche posto domande che hanno fatto protrarre l'evento per oltre due ore.
Con l'accompagnamento musicale della fidatissima Ilaria Pisacane, con il suo flauto traverso e un bizzarro leggio fatto di libri impilati, e con l'intervista guidata da Cinzia, la lettura delle poesie e la successiva discussione mi hanno lasciato una eco di pensieri che probabilmente riorganizzerò col tempo.
L'importanza della qualità, ad esempio. La necessità dell'educare alla lettura, non solo della poesia, una certa nostalgia per un vecchio modo di intendere l'insegnamento delle materie umanistiche, l'auspicio di un ritorno a ritmi più umani - cosa che temo non sarà facile.
Insomma, forse sto invecchiando, ma il mandare a memoria le poesie credo che manchi. Credo manchi il tempo in generale per affrontare l'arte in modo corretto. E le riflessioni su cosa sia arte. Se si possano sostituire le canzoni alla poesia, se sia importante la forma o la creatività senza regole. Qualità o quantità, nuovi media o libri classici.
Su quanto si sia persa la concezione di fatica per ottenere un risultato, di quanto si sia superficiali e poco attenti alla propria vita e alle cose che abbiamo intorno.
Ho ovviamente trovato il modo di fare delle facce improponibili, mentre Cinzia parlava di quanto ci si sbagli considerando lo scrittore o l'intellettuale come una persona al di fuori del mondo, che vive delle sue parole e invece arrivo io e lavoro, cucino, dipingo, faccio cose comuni. Beh, forse s'è smarrita la dimensione del fare cultura, posto che io sia in grado anche solo di parlarne. Credo che l'intellettuale da salotto vada sostituito con un mini-intellettuale che però parla di cose semplici e non si riempie la bocca di paroloni e di citazioni colte per impressionare un pubblico.
Foto di gruppo con assessori e parte del gruppo, vendita di qualche piccola copia ai presenti con rito dell'autografo compreso (mi ci devo abituare, a firmare per intero) e via, verso un bar pasticceria dove abbiamo continuato a chiacchierare per altre due ore buone, terminando con un bel vassoio di pasticcini.
Insomma, poetesse incicciate e lanciate nella promozione. In attesa di cominciare la promozione del romanzo. Presto.




19.1.14

Evento!

Questa mattina, 19 gennaio 2014, alle ore 10,00 sarò ospite della Biblioteca Comunale di Trino Vercellese, per presentare il mio "Parole d'amore insano" e raccontare le novità in arrivo.
Stay tuned o, se potete, fate un salto.
Sono intervistata dai membri dell'Associazione culturale Gruppo Senza Sede. Avrete di certo un bel report al più presto.
Ciao!

14.1.14

No, non sono sparita

Sono qui che corro.
Come corro? Non è da me. Non lo era, non lo so.
So che nel giro di poco tutto si stravolge e cambia, e che siccome tocca adeguarsi ai cambiamenti ora corro.
Procedo con il giornale, un po' saltellando ma con le migliori intenzioni. Ho preso contatti e iniziato a pubblicare i primi articoli. Ma non c'è solo questo.
Venerdì, o forse poco prima di venerdì, mi sono trovata a pensare che per quanto io faccia la sportiva in realtà non mi sono mai davvero messa in gioco. Trasso, avrebbero detto i miei cugini. Sono un bluff.
I miei romanzi li mando in incognito.
Mettiamo il torneo cui partecipo ogni anno. Il primo anno ho mandato una raccolta di racconti paranormal romance o giù di lì, messi insieme in una settimana, buttati giù e nemmeno riletti. Qualcuno di loro sta nella pagina a fianco, rielaborato il minimo necessario alla lettura. Era ovvio che non sarei passata alla semifinale. I racconti non li legge nessuno, non si pubblicano facilmente e risulta difficile giudicare una raccolta leggendo uno o due brani. Poi non curandoli nemmeno. Diciamo che ci ho provato più per curiosità che per sfida. Poi ho saltato un anno e alla terza edizione ho provato col "tascabile", che era l'unico romanzo talmente pop e poco complesso che avevo. Ho dovuto tagliare quasi cento pagine, forse le migliori, per farlo stare nei limiti imposti dal regolamento. L'ho ripulito il giusto e gli ho dato un finale, che prima non aveva. E non l'ho corretto, non c'era tempo. Così il primo anno è stato spernacchiato ma io avevo l'alibi che era una romanzo ciofeca, come tanti altri. Poi l'ho rimandato pari pari cambiandogli genere e sono arrivata in semifinale, ma quel romanzo era da riscrivere (e lo stavo facendo) prima ancora di sapere che esisteva un torneo.
Ovvio che l'alibi restava e che anche a vedermelo bocciare non avrei patito le pene dell'inferno. Non ho voluto mandare "Gli attimi..." giusto perché ci tengo troppo, perché mai avrei dovuto mandare al macello una creatura delicata?
Quindi quest'anno, che non ho più solo il "tascabile" e "gli attimi", ho pensato bene che non volevo farmi una nuova edizione del torneo. Perché sprecare tempo ed energie? Perché mettersi in gioco con un romanzo vero?
E, ok, tutti gli amici scrittori si sono sollevati e mi hanno praticamente obbligata a partecipare. Quindi non sono sparita, sto ripulendo il romanzo vero, quello che ritengo il migliore finora, per provarci sul serio.
E, visto che quando le cose si muovono, si muovono bene...
Oggi è arrivata una proposta editoriale per "Gli Attimi...". Un editore vuole farne un e-book. Uno serio, non roba che paghi per pubblicare. Dopo quasi cinque anni di attesa, anche se è un editore piccolo e il formato digitale magari non è così popolare, sapere che qualcuno crede in un mio lavoro, così personale oltre tutto...
Solo quello basta a farmi contenta, solo sapere che qualcuno ci crede.
Non ho ancora deciso cosa fare, avrei preferito la doppia opzione cartaceo-digitale. Ma a volte non si può scegliere davvero. Ne parlerò con l'editore, credo, e vedrò cosa riesco a spuntare.
Perché ce la posso fare.
E non ho intenzione di sparire. Anzi, eccomi qui con la mia adorata aiutante:
Immagine di Bitstrips.com
 

10.1.14

Il mio rapporto conflittuale con la scuola

Lo ammetto, non sono mai stata un'allieva modello.
Certo, ero educata. Non sempre, ma lo ero.
Fin dal primo giorno di asilo, però, io lì non ci volevo stare. Stavo meglio a casa mia, con la nonna, a inventare storie. A raccontarle sogni che lei appuntava su un quaderno (perduto in uno dei millemila traslochi), con tanto di illustrazioni. A imparare a scrivere con la destra anche se ero mancina.
A tenere in mano un pennello e dipingere a olio delle nuvole adulte su paesaggi ovviamente infantili.
Io non ci volevo andare. Semplice. Imparavo tanto anche a casa.
E va bene, l'asilo poi l'ho evitato con qualche capriccio e un paio di morsi ben assestati a vari parenti. Son stati ripagati a ceffoni, ma il risultato l'ho avuto.
In prima elementare ero già dalla psicologa. Non volevo stare con quei cretini dei miei coetanei che, oltre a giocare e a comportarsi da bambini, avevano l'orribile vizio di ridere. E io non lo sopportavo.
Che cosa avessero da ridere non l'ho mai capito. Io trovavo tutto tremendamente serio.
In terza elementare ho capito che quando c'era sciopero non si andava a scuola. Che cosa fosse uno sciopero non lo sapevo, ma la conseguenza mi piaceva assai. Quindi scrivevo finti avvisi di finti scioperi per stare a casa o andare a lavorare a Leumann (borgo che sorge lungo Corso Francia a Torino, poco fuori dai limiti della città ma senza interruzioni di sorta con i comuni confinanti) con mia mamma. A svuotare casse di oggetti che arrivavano dall'India, a sistemarli in magazzino insieme al tuttofare Daniele, a nascondermi negli spazi più assurdi tra una ditta e l'altra sul piano dell'ex fabbrica in cui mamma aveva la sua azienda.
A scuola non ci volevo stare.
Poi ci sono state Giovanna, Cristina e sua sorella Barbara. Allora la scuola era meno una tortura e per un paio d'anni mi sono sentita meglio anche lì. Oddio, non proprio a scuola, ma sapere che c'erano anche loro mi sollevava.
I problemi sono tornati alle medie. Primo: mancati i nonni nel giro di due mesi uno dall'altro, ci eravamo trasferiti a Moncalieri e tutte le persone che conoscevo vivevano a Torino (più o meno dove vivo ora). Secondo: Non volevo andare a scuola in un posto dove non avrei visto le mie amiche. Terzo: non volevo andare a scuola.
Infatti, dopo aver tentato di andare a scuola a Torino, pur vivendo a Moncalieri, nella stessa scuola pubblica dove andavano le mie amiche per quasi sette mesi; alzandomi alle 6 del mattino e portandomi dietro tutti i libri per poter fare i compiti fuori casa, per tornare e avere ancora compiti da fare dopo cena... bene...
dopo tutto ciò mia madre scelse di ritirarmi da scuola e farmi ricominciare a Moncalieri l'anno dopo.
Perfetto. Ma io a scuola non ci volevo andare.
Non era il mio posto. Mai stato.
Mamma, che lo sapeva, mi faceva stare a casa quando proprio non avevo voglia di andare. Perché altrimenti non avrebbe saputo dove trovarmi, perché tanto io non volevo andare in giro a vuoto... io volevo stare a casa. In ogni modo, pur avendo smesso di fare i compiti in prima media, a scuola andavo più che bene.
Solo detestavo andarci. Non volevo stare con le altre (scuola di suore, tutta al femminile), le trovavo stupide e poco interessanti. I libri erano meglio, la musica era meglio, disegnare era meglio, stare in giardino ad arrampicarmi sugli alberi era meglio, qualsiasi cosa. La scuola no.
Pur non facendo un solo compito per tre anni e pur sostenendo un esame ogni anno (scuola di suore, tutta al femminile e non riconosciuta) come privatista... andavo benissimo. Il primo anno era Buono, il secondo Ottimo e il terzo più che Buono o forse Ottimo. Non mi è mai importato.
Quando abbiamo affrontato il dilemma delle superiori io... non volevo andare a scuola.
E infatti non ci sono andata.
Ho studiato quasi sempre da privatista. Poco e male, probabilmente. Ma ho un diploma e avevo una buona media all'università. Sempre detestando la maggior parte delle persone con cui ero costretta a studiare, spesso evitandoli come la peste.
Forse non erano solo i compagni, forse alcuni degli insegnanti non hanno aiutato e di sicuro la mia componente asociale o spiccatamente introversa non è migliorata. Forse sono una persona particolare.
Non lo so.
Ma ogni volta che vedo qualche bimbo che non vuole andare a scuola lo capisco benissimo.
Una cosa terribile...

5.1.14

Anno nuovo...

Stessa me.
Ho iniziato un quadro nuovo, mi piace molto come ho lavorato il fondo e come sta venendo. Poi vedrete. Credo. Anche se in foto non rende.
Sto lavorando su "Sette stanze", il romanzo che ho finito a maggio. Ho ricevuto consigli preziosi e sto cercando di applicarli al meglio. Il romanzo mi piace tantissimo (e non è una cosa che capita spesso), per cui voglio renderlo perfetto, se fosse possibile. Intanto sostituisco le virgolette dei dialoghi con i caporali (che sono richiesti quasi sempre), e lo rileggo ancora. Incredibile come si trovino sempre piccoli errori, che sia anche solo una lettera non scritta o una virgola dopo uno spazio.
Dovrei anche aggiungere qualcosa a "Gli Attimi", ma non è ancora il momento, come non lo è per finire "J&J" e sto rallentando anche il nuovo lavoro. So che riprenderò a breve, ne sento il bisogno. E vorrei riprendere anche il "tascabile", che ormai è pronto per essere riscritto.
Ma ora sto dipingendo e mi sto preparando ai miei nuovi compiti da giornalista semi-seria.
Stanotte, un rapido volo a cavallo della scopa insieme alle mie amiche befane almeno nella fantasia. Poi, dopodomani, si riprende davvero la vitaccia.
Lavoro, impegni, corse e tutto il resto.
Ma con una buona sensazione addosso.
Finalmente.
dettaglio dello sfondo del nuovo quadro