29.8.15

Si ricomincia col botto

Forse è vero, mi sono lamentata un poco del fatto che le cose si muovessero a rilento.
Le soddisfazioni tardavano e, anche se sono abbastanza sicura di ciò che mando in giro e non mi aspettavo una risposta tempestiva - per pubblicare "Gli attimi in cui Dio è musica" ci sono voluti 5 anni, un Calvino e tanta pazienza - cominciavo a dare segni di insofferenza.
"Sette stanze" è pronto da  due anni, è arrivato in finale al Premio Marcelli, ha avuto una buona media e qualche lamentela al Torneo IoScrittore - il che di solito è garanzia di successo, se non piace a loro vuol dire che è abbastanza interessante - non è piaciuto al Neri Pozza (troppo rosa) ma sono sicura che sia un buon lavoro. Eppure non piaceva. Non piaceva il suo protagonista, forse non piaceva il modo in cui io lo presentavo.
Ma ora ha trovato casa, e con lui un altro dei miei romanzi ambientato in India. Entrambi sono stati accettati dallo stesso editore che mi ha pubblicata finora. Una scelta particolare, la mia. Lettere Animate è un editore piccolo e combattivo. Ha dei difetti, certo, ma anche una buona dose di qualità ed è per questo che non ho avuto dubbi a firmare un'altra volta con loro.
Per cui, una volta terminata l'ennesima rilettura del testo, "Sette stanze" è in arrivo con il suo odiosissimo protagonista e la sua vita da rifare.
A ruota seguirà "Addio a Bodhgaya", romanzo breve più o meno come "Gli attimi..." ma di tutt'altro genere - quale genere ancora non so (io fatico a definirli, di solito) ma appena sarà chiaro lo saprete - con una giovane protagonista in viaggio per andare avanti.
Come probabilmente già avete capito a me piace parlare di cambiamenti. E ne parlerò ancora. La revisione del super-mega-fanta romanzo da trecentoventi pagine procede in modo soddisfacente, ho quasi finito il seguito de "La caccia" e ho un romanzo a buon punto, uno da riscrivere e progetti a non finire e mi ci voleva solo il la...
Ora sono tutti fatti vostri ;)

27.8.15

La grazia delle parole.

Un aspirante e giovane scrittore domanda ai suoi "colleghi" se trovano più disturbante scrivere di un omicidio - in modo dettagliato e crudo - o di uno stupro e ne esce una discussione fiume che continua tra un insulto e un altro.
Da una parte è normale, non mi aspetto mai molto di diverso dagli scrittori. Siamo bestie strane. Non so se si tratta di insicurezza o di presunzione - spesso una maschera l'altra, come la falsa modestia di cui ogni tanto pecco pure io - ma la continua richiesta di conferme per poi non accettare le critiche è la cosa che più mi disturba nell'atteggiamento generale.

Veniamo al caso in questione. A parte il fatto che il giovane autore si chiedeva se lo scrivere di queste azioni orribili facesse automaticamente considerare lo scrittore come un serial killer o uno stupratore abituale, cosa che non dovrebbe nemmeno sfiorare la sua mente creativa. A parte alcuni commenti scritti in un italiano molto più creativo del pensabile -o forse abbastanza lontano dall'italiano che conosco e che mi hanno insegnato scuola e libri - compresa la posizione delle virgole, la quantità di puntini di sospensione e k sparse ad minchiam. A parte la mia personale idea sulla domanda che andrò a esporre tra poco, ecco che compare immancabile un altro autore con il suo esempio, postato come commento. Da qui la rivoluzione. Fine del post costruttivo su cosa è lecito, bello, morale scrivere quando si vuole raccontare qualcosa.

Qualche tempo fa, partecipando a un contest di cazzeggio di mini racconti con tema "Lettera da..." ho scritto questo brano:
[una lettera dall'] Inferno
 Lo senti? È sempre la mia pelle che ti cerca.
Anche adesso la mia mano cerca di sfiorarti il volto mentre mi insulti, mi sputi addosso e mi prendi a ceffoni; ora che il tuo peso mi schiaccia al suolo e mi toglie il fiato, i miei occhi ancora si voltano in cerca dei tuoi. In questo momento, mentre la minaccia si fa concreta, mi viene in mente il primo bacio scambiato in uno squallido hotel. La tua bocca e il sapore intenso, lo sguardo feroce, quello che ci ha resi complici fin qui.
Non è amore, forse? Oh, io sono certa che lo sia. Se non mi meritassi ogni tuo schiaffo potrei dubitare ma sono io che sbaglio, che sono lercia e impura: la puttana sono io e tu hai ragione. Non mi punirai mai abbastanza per ripulirmi da questa natura. E se mi dici che ho sbagliato, che ho tradito con uno sguardo e che non sono cambiata in questi anni è probabile che tu sia nel giusto.
La mia pelle brucia, il viso sbattuto al suolo e il sangue che si appiccica a terra eppure morirei per un tuo bacio. Sono tua.

Perché?  Perché l'immagine che mi è venuta in mente era quella. Qualcosa che non poteva essere scritto se non con la mente e che in mezzo agli altri racconti politically correct ha dato parecchio fastidio. Una sola parolaccia, ma se fosse stato utile ne avrei scritte altre. Un tema violento e scomodo come a volte può essere l'amore malato. La complicità tra vittima e carnefice, anche. Per qualcuno questo brano non faceva un favore alle donne, ci voleva un finale con morale, che facesse capire che quello non era il modo giusto di concepire l'amore, posto che ce ne sia uno universalmente applicato e applicabile. Ma da un punto di vista formale, come spesso mi capita, niente da eccepire. (Poi conosco editor che mi bacchetterebbero comunque, perché ogni testo si può pulire, limare,ripulire, ri-limare e via all'infinito posto che a me interessi un testo perfetto).
Altre volte ho scritto brani smielati, altri più ironici, altri macabri. Senza mai pormi il problema di cosa fosse narrabile e cosa no. In quale forma, sotto quale punto di vista, con o senza morale. Io non lo faccio mai. 
Quello che a me importa è raccontare la storia che ho in mente come va raccontata, senza nascondermi o nascondere ad altri quello che c'è nella storia. E, oltre al resto, senza diventare più mostro di quello che sono. Poi penso a Stephen King, a John Connolly, agli autori di thriller e horror che leggo e che mai ho pensato essere molto più che normalissimi esseri umani. Quindi, bando alle paranoie, quello che penso è che una storia vada raccontata comunque nel suo modo. Se è cruda non importa, ogni aspetto della vita si può raccontare per quello che è. Cosa sia peggio tra stupro e omicidio - inteso come scrivere di - non saprei. Cosa è più difficile, sempre, è scegliere il punto di vista migliore per raccontare ciò che si vuole raccontare, ma se sei fortunato viene da sé. L'importante è che sia scritto bene. Non perfetto, ma bene.
Volevo parlare di questo, in realtà. Dello scrivere bene. Che poi è sicuramente molto soggettivo, ma c'è un fondo che potrebbe essere comune. O che forse dovrebbe.  O non lo so, fa lo stesso.
Dicevo dell'autore che ha postato in un commento un suo brano. Nel suo caso specifico non è la prima volta che lo fa e non è la prima volta che dopo le prime tre righe smetto di leggere in modo continuativo, saltando qua e là per capire il senso generale senza fermarmi  alle singole frasi. Come me anche altri, per altri motivi. Il più "gettonato" era la volgarità dei termini usati per descrivere uno stupro/incesto ai danni di una minore. Perché è già un tema terribile, perché non c'è bisogno di usare parole volgari per raccontarlo e che ha infastidito più di un partecipante alla discussione. 
Al di là del gusto personale, che può farmi apprezzare o meno un genere, non sono le volgarità che mi turbano. Non mi fa schifo il "porno", le parolacce usate nel momento e nel modo giusto non mi turbano. 
L'autore in questione, però, le usa in modo compulsivo (e mi viene da dire "convulsivo" a forza di sentire autori e lettori che lo dicono convinti) e con una punteggiatura che francamente mi lascia perplessa. No, mento. La trovo illeggibile. Tra ripetizioni, punteggiatura e lo stile dell'autore io non riesco proprio a trovare lo spunto per leggere nemmeno i brevi spezzoni che inserisce spesso e volentieri per pubblicizzare i suoi lavori. Romanzi pubblicati come erotici, quando io non trovo nulla di erotico nelle frasi che leggo. Nemmeno drammatici, o che altro vi si voglia trovare. 
Ora sì, può darsi che io sia diventata una "grammar nazi". Può darsi che io sia una stronza presuntuosa che pensa di scrivere meglio di altri. Può darsi che io valuti in modo soggettivo ciò che gli altri scrivono. Lo facciamo un po' tutti. Ma la punteggiatura farlocca e le ripetizioni, che siano in un erotico o in uno storico mi danno sui nervi. Editing. Leggere e scrivere. Leggere di tutto, leggere cose belle e schifezze immonde. Certo, lo stile è personale e in questo caso non mi piace. 
Io credo che le storie vadano raccontate, che ogni storia abbia un suo linguaggio, che abbia il suo stile, una sua voce. Credo non ci siano limiti di argomento, di uso di un linguaggio anche volgare, di crudezza o di dolcezza. Credo però che ci sia una bellezza nelle parole che va sempre rispettata, nel suo ritmo, nel suo scorrere, nel suono che ne esce se si legge ad alta voce. Che non ci sia rabbia che non possa essere raccontata con una "grazia" capace di trasmettere il messaggio e di farlo rimanere, non rifiutare a priori.
Credo che questa sia la ricerca che voglio fare.

19.8.15

Meditabonda e inquieta as usual

L'altro giorno camminavo in via Garibaldi accanto a una libreria lunghissima e tutta vetrine.
Guardavo dentro e tutta qualla massa di libri mi ha quasi stordita. Ci passo spesso e spesso entro, cammino su e giù cercando un titolo o un suggerimento, compro. Spesso ci giro a vuoto perché con tutti quei titoli, tutte le pile di libri, tutte le pareti piene di coste da leggere... beh, a volte è troppo e io quando sono sovrastimolata tendo a chiudermi. Quindi a volte semplicemente entro e esco confusa e delusa.
Non ho mai avuto il piacere di vedere un mio libro tra quelli esposti (se non nelle librerie dove ho presentato) e probabilmente non ne vedrò mai uno.
immagini Bitstrips
Il fatto è che guardando tutti quei libri mi son chiesta "ma mi frega davvero qualcosa di essere lì tra troppa roba?", cosa che riporta alla domanda "perché scrivo?" e che non ha risposta da tempo.
Perché poi tutto sommato non ho questa urgenza di pubblicare, anche se mi piace l'idea di essere selezionata e ritenuta valida da chi ne sa più di me, altrimenti sarei sempre lì a mandare manoscritti (va beh, mail con allegato) ogni giorno a chiunque mi sembri serio. Invece no: mi informo, guardo i siti degli editori, guardo le istruzioni per l'invio e poi faccio altro. Scrivo, le idee non mancano mai; se non scrivo correggo, se non correggo mi sto inventando qualcosa di nuovo che non so quando finirò.
E in ogni caso non ho urgenza di finire tutto, né di vendere, né di presentare. Non richiedo interviste o recensioni, aspetto che qualcuno mi legga e le faccia. Quando mi scrivono per chiedermi se voglio farmi pubblicità io rispondo e poi mi dimentico di mandare il materiale. Forse non è così importante.
Eppure leggo su Facebook di altri che come me scrivono e che controllano le classifiche ogni giorno, e che scrivono a chiunque per le recensioni, che altresì non sono contenti delle recensioni negative (ovvio, ma mica si può piacere a tutti e se vai chiedendo, prima o poi a qualcuno non piaci), che si scambiano recensioni entusiastiche e che non credono che tutto questo sia un semplice teatrino e che giocare al "personaggio" riesce bene solo a chi personaggio lo è.
Pullulano i consigli su qualsiasi cosa e io non sono mai d'accordo. C'è chi si pianifica tutto, chi si documenta prima ancora di avere in mente una storia, chi ancora non ha capito la differenza tra editing e correzione bozze. Chi si improvvisa editore e chi non fa altro che spam. Chi si lamenta sempre e soltanto, chi chiede lettori che non ci sono. E chi come me non riesce nemmeno più a leggere, nauseata dal troppo che stroppia.
Non che non sapessi che la vita dello scrittore (qualsiasi cosa sia) è piena di ostacoli e lente evoluzioni; non che la via dell'arte in genere sia semplice mai. Non può esserlo. E se "oso" scrivendo qualcosa di cattivo c'è subito chi mi dice che non sono politically correct, e chi mi dice che la letteratura deve smuovere. Chi mi vuole diavolo e chi acquasanta e io semplicemente vorrei raccontare storie, senza pretese. Far divertire e pensare, portare altrove per un poco anche leggermente.
Il lavoro di editing con Natascia procede e di questo sono contenta, perché procede bene. Due terzi della prima lettura sono andati e le poche "incongruenze" riguardano 1) un edificio in mattoni nell'epoca sbagliata, 2) una "cabina telefonica" che poi è un telefono pubblico, 3) le origini di un personaggio e 4) il non avere precisato ma solo lasciate intendere delle cose che in effetti - essendo un romanzo di 320 pagine e con un numero di personaggi impossibile - era meglio "dire". Se poi calcolo che questo romanzo l'ho scritto mentre scrivevo altri 3 romanzi e un paio di racconti, senza prendere un appunto, senza sapere quando ho iniziato dove avrei finito e soprattutto avendo chiare in mentre solo due scene quando ho iniziato...
Beh, sto facendo divertire Natascia e poi non ho idea di dove mandarlo, perché prima o poi mi tocca farlo.
Ecco. Io tutte 'ste cose mica so perché le faccio, se penso al fatto di spedire mi viene già male. E ne ho uno pronto che mando a qualcuno ogni tre mesi, quando mi ricordo. E non è male, giuro. Un romanzo carino, con un protagonista detestabile che piano piano cresce e diventa se stesso. Che non piace ad alcuni lettori perché quando si ubriaca vomita e perché ha un cognome inglese. E che a volte mi fa chiedere, oltre tutto, "che diamine vogliono i lettori, solo personaggi carini, educati e sbrilluccicosi?"
Insomma, siccome son tutte domande cui non esiste una risposta e siccome il malumore già me lo son fatto venire guardando quella marea di libri di cui non ne ricordo uno (no, uno in realtà lo ricordo "vacanze da sogno", un libro di fotografie, più che altro perché leggo il titolo come Crozza quando fa Briatore)...
Voglio solo dire che a volte mi chiedo se vale la pena di scrivere con un'idea precisa che va in direzione contraria al mondo. E no, non vale la pena. Ma lo faccio lo stesso perché sono masochista e testarda. 
E perché mi piacciono le storie.

3.8.15

Agost post

Sono finalmente in ferie.
Per festeggiare ho fatto un allenamento intensivo di pole, ho camminato ore e ho scritto una recensione, un brevissimo racconto, ho corretto una parte del romanzo, sto terminando un racconto che spero pubblichino come seguito de "La caccia" e ho un romanzo da finire.
E le solite idee per dei quadri che non so quando avrò mai tempo di dipingere.
Ed ecco che le vacanze me le sono giocate se per vacanze intendevo un sano e quieto relax.
Il racconto che devo finire è la rielaborazione di un altro racconto molto breve che avevo lasciato lì, come finito, e che invece ha delle potenzialità. Così sono a metà del lavoro e spero di riuscire ad allungarlo abbastanza da fargli avere una dimensione pubblicabile. L'idea di base per proseguire c'è, forse devo solo mettermici seriamente.

Come sempre, però, quando c'è da andare in una direzione a me piace cambiarla. Anche se la direzione l'ho scelta io, ma soprattutto quando l'hanno scelta altri. Guai a darmi un tema, andrò sempre al limite estremo. Non lo faccio apposta, capita e basta. E se da un lato mi rende libera dal pericolo di cadere nel cliché e nelle cose già sentite e viste, dall'altro finisce che chi mi legge non comprende il limite. Cerca il cliché. Vuole proprio quella roba lì. Non qualcosa di nuovo o di diverso. Sarà quello che mi impedisce di fare il salto? Ma poi il salto significa andare dalla parte dei più? Che io non ci sto comoda, credo.
Per vari motivi, tanti.