28.4.16

L'analisi illogica del testo 9 - La cosa assurda della vita

La cosa assurda della vita è che dobbiamo morire.
Tralasciamo il fatto che non credo che la morte sia una cosa definitiva se non per un certo corpo specifico e un certo "essere" una creatura piuttosto che un'altra; che non mi importa se l'energia che ha creato quello che io chiamo "me" si ri-formerà per creare una quercia o un gatto.
Dico sempre che la vita è una sola per volta e non mi interessa se sono stata Cleopatra o un elefante nella mia vita precedente, che quel che conta è qui e ora e che quel che sarà, sarà.
Il problema è che oggi, qui, è come se morire fosse una cosa innaturale. Come se non si dovesse fare, un tabù. Ci spaventa a tal punto da non volerla accettare, eppure ci tocca. E non è che c'è una scadenza prestabilita, come se a morire dovessero essere solo gli anziani - ma solo perché ancora non si è arrivati a un progresso tale da impedirlo pure a loro - o alla gente cattiva.
Purtroppo no. La morte arriva un po' quando le pare e non sta a guardare il curriculum. Sembra brutto e cinico da parte mia, parlare di questo argomento ora. Eppure sono stanca di sentire retoriche insistenti su quanto sia terribile una certa morte.
Eh no, non è una certa morte a essere terribile: lo è tutta, ed è assolutamente naturale comunque. Una cosa che ci può succedere in ogni momento e che non necessariamente è diversa da quella morte che capita dall'altra parte del pianeta. Una cosa che non ha un vero senso se non  quello di essere la fine di una certa forma di noi. Ed è giusto perché per noi è assurda che ci fa paura.
Al di là del dolore della perdita, che comprendo e che non posso non rispettare (lo ho provato anche io, più volte), non c'è un senso da cercare che serva a placare la mente o a farci accettare la cosa.
Ma si muore. A venti come a quaranta, a tre come a novanta, a quindici come a settantuno.
Ed è assurdo fare distinzioni su una o sull'altra. Il dolore provocato a chi resta è enorme in ogni caso. Non esiste una morte "utile". Esiste solo la morte. Che può essere stupida, orribile, beffarda, o semplicemente assurda.
Lunedì mi è tornato alla mente un racconto di Stephen King. So che è un autore ricorrente nelle mie analisi illogiche, ma spesso è il più bravo a farmi pensare alle cose. Nella raccolta "Tutto è fatidico" ci sono alcune perle, tra cui il racconto "Pranzo al Gotham Cafè" in cui la morte assurda ha il volto (e il coltello da cucina) del maitre di un ristorante di classe. Così il pranzo tra due ex coniugi e l'avvocato della donna, già difficile di per sé, si trasforma in un incubo. Rapido, insensato e terribile.

"Attento!" urlai a Humboldt, e da un tavolo contro la parete un uomo smilzo con gli occhiali senza montatura lanciò un grido, lasciando cadere sulla tovaglia frammenti scuri di cibo masticato.
Humboldt non sembrò sentire né il mio urlo né quello dell'uomo. Guardava il maitre aggrottando la fronte con fare minaccioso. "Non aspettarti di rivedermi qui dentro se questo è il modo..."
"Iiiiiii! IIIIIIIII!" gridò il maitre, e lanciò un fendente nell'aria. Fece un suono sommesso, come una frase sussurrata, e il punto e a capo fu il rumore della lama che si conficcava nella guancia destra di William Humboldt. Dalla ferita sgorgò un getto violento di goccioline di sangue che decorarono la tovaglia di puntini, con un motivo a ventaglio. Vidi con chiarezza (e non lo scorderò mai) una goccia di sangue rosso vivo cadere nell'acqua del mio bicchiere e scendere verso il fondo lasciandosi dietro un filamento rosato, come fosse una coda. Sembrava un girino sanguinante"
(Tutto è fatidico, Sperling & Kupfer 2002, pag 384)

Rapido, insensato, terribile.
Come nella realtà. Se ci penso su, mi torna in mente la volta in cui, in tangenziale a Torino abbiamo incontrato il classico tizio contro mano. Che a raccontarlo non ci si crede, ma è successo. Quel mattino me ne stavo seduta al mio posto di passeggera e guardavo fuori come sempre. Davanti a noi un tir rallentava mentre nel prato alla mia destra un gruppo di operai vestiti di arancione correva verso l'asfalto. Inserita la freccia, mio marito ha effettuato il cambio di corsia e stava accelerando per sorpassare il camion quando davanti a noi si è materializzato l'impensabile: un puntino rosso sulla nostra stessa corsia sembrava avvicinarsi invece di mantenere la distanza o allontanarsi. Il tempo di rientrare nella corsia da cui provenivamo e quel puntino ci passava accanto. Il tizio al volante, per niente spaventato, guidava tranquillo mantenendo la sua destra e viaggiando contromano sulla corsia di sorpasso. Ecco, se avessimo iniziato a superare il tir e ci fossimo trovati affiancati a esso, probabilmente non sarei qui a scriverlo.
Quello che mi è passato per la testa in quel momento era qualcosa tipo "ma che cazz..." e mi è sembrato assurdo, incredibile. Idiota. Però è successo.
Gli incidenti succedono in continuazione.

Io credo che sia giusto rimanere turbati davanti agli incidenti e alle morti assurde. Credo sia giusto soffrire per conoscenti e sconosciuti che perdono la vita quando non ci sembra la loro ora. Credo sia umano, ma che sia altrettanto fondamentale ricordare che non esiste un'età giusta per morire, che non sempre succede in un modo "adatto" alle nostre aspettative e che invece di farci tanta retorica su dovremmo pensare a quanta gente di cui non sappiamo nulla muore tanto quanto quella che vediamo al telegiornale. Ai bambini che muoiono di fame o di Aids in Africa e nel terzo mondo, a quelli che annegano nel Mediterraneo - che siano adulti o bambini non cambia - a quelli che sono vittime di guerre e attentati in paesi di cui non ci importa granché. A quelli che muoiono per mano di altri dopo grandi sofferenze, a quelli che magari vediamo dormire per strada ogni giorno finché non li vediamo più. Credo che sia importante riappacificarci con la morte. Per vivere meglio.

25.4.16

Cosa faccio quando non scrivo

Capita raramente, ma capita.
Sì, stavolta è un po' peggio del solito. Non scrivo, non leggo e non mi occupo di libri con la consueta voracità. Forse una overdose, forse la leggera delusione per la scarsità di vendite e/o condivisioni.
Arrivato a inizio anno il report delle vendite dei miei ebook per l'anno 2015: prima delusione. Non tanto per "Gli attimi in cui Dio è musica", che aveva venduto quasi 200 copie digitali l'anno prima e che ne ha venduta ancora una al mese in media per tutto l'anno, quanto per i due racconti.
Ora lo so che non è facile emergere e che non sono una brava a vendersi. So anche che sia "La caccia" che "L'altra donna" meriterebbero un po' di più. Forse, soprattutto, il secondo, che non ho scritto per divertimento ma per raccontare una storia. Sì, le recensioni ci sono e sono buone (io controllo poco e di solito controllo solo su Amazon per pigrizia e per mancanza di tempo) ma non ha venduto nemmeno venti copie, come il suo "gemello" erotico. Anche se mescolare sesso e vampiri non è una gran novità, anche se bla bla bla, io che ho provato a leggere altri lavori dello stesso genere posso dirmi da sola che non è tanto peggio del resto e che tutto sommato merita una chance. Poi è uscito "Addio a Bodhgaya" e anche lì, sebbene non ci sia ancora la versione cartacea, la somma delle copie vendute il primo mese mi ha abbattuta. Non oso pensare a quanto venderà "Sette stanze", che è uscito poco dopo.
Colpa mia, di sicuro.

Non leggo, dicevo. A forza di spulciare nei lavori altrui ho una specie di repulsione anche per i libri di una qualità maggiore. Non riesco ad appassionarmi, se non a pochi e rarissimi libri. Tanto che ho iniziato un libro da più di un anno e non sono nemmeno a metà, ed è un libro che mi piace. Ne ho letti rapidamente altri, per scrivere recensioni o articoli, ma non mi hanno catturata. Proprio no.

Quindi cosa faccio? Vivo.
Lavoro, cammino, cucino e mi butto nella pole dance. Lo avrete notato, lo so. Ne ho parlato da poco ed è uno dei pochi post che ho scritto qui ultimamente. Lo faccio nonostante l'età e la fatica perché mi diverte più di tutto il resto anche se non sono brava quanto vorrei. Non tutte le lezioni sono uguali, io rendo una volta sì e una no. Cose che mi riuscivano perfettamente di colpo non mi vengono per mesi. Non ho forza in mani e braccia, non sono flessibile e sono pesante. Ma rido e gioco e sono felice. Dopo la prima gara non mi sono data tempo e sono già iscritta alla prossima. Sarà fantastico.

Poi sostanzialmente aspetto.
Risposte, conferme, una nuova strada. Un salto di qualità. Spero di riuscire a farlo con "Area...", che è stato un lavoro lungo e complesso e che ora è in attesa di uno sbocco, come "L'universo...", altra creazione degli ultimi anni. E torno a parlare di scrittura, lo so. Perché ne sto lontana ma mi possiede.
Ho almeno due progetti da terminare e non ho forse la forza di farlo adesso, anche se altre e nuove idee continuano a premere e prima o poi dovrò affrontare il mostro. E sfondare. Qui e là. Perché ho voglia di un destino differente. Di soddisfazioni. Di sognare sempre di più.

Cosa faccio quando non scrivo?
Sogno.

17.4.16

Recinzioni Selvagge: Pagine e pop corn - Intervista a Paola Ferrero


 “Pagine e Pop corn”

Diamo il benvenuto nella nostra sala proiezioni a Paola Ferrero, autrice torinese di racconti, romanzi e poesie. Pubblica dal 2009, anno del suo esordio con “Parole d’amore insano”. Adora scrivere e dipingere, cose che fa nel pochissimo tempo libero che le resta.

Cominciamo parlando di te: film o serie tv? Per quale motivo?
Serie tv, di sicuro. Mi piace affezionarmi ai personaggi, seguire la loro crescita, i cambiamenti di rotta, le loro reazioni alle cose che succedono. Un po’ come mi piace nei romanzi-saga. Non amo ritrovare lo stesso identico personaggio da un libro all’altro. La vita fa cambiare, è giusto ed è bello che il cambiamento ci sia anche nelle “storie”.

Se fossi il protagonista di una serie tv?
Potrei essere uno dei supereroi casuali di Heroes. Non so se tra i buoni o tra i cattivi. So che spesso mi sono sentita “diversa” e che questa diversità è stata un peso diviso con poche persone con lo stesso disagio.

Quanto e come influisce ciò che guardi con ciò che scrivi?
Essendo appassionata di cinema e tv per forza il mio immaginario si nutre anche di ciò che amo vedere. Il mio modo di scrivere, il mio metodo, è come la descrizione di scene che ho ben chiare in mente come se le stessi vedendo sullo schermo. Mi piace la scrittura veloce, come il montaggio; amo le tinte nette dei film di Michael Mann o le visioni oniriche di Tarsem Singh, sono cose che cerco di riprodurre a parole quando scrivo.

Pillola rossa o pillola blu? (In caso non si 
conoscesse Matrix: "Pillola azzurra, fine della storia: domani ti sveglierai in camera tua e crederai a quello che vorrai. Pillola rossa, resti nel paese delle meraviglie e vedrai quant'è profonda la tana del bianconiglio.") Fantasia o realtà?
Fantasia. Non sono per la verità a ogni costo. Nemmeno quando leggo sto a consultare Wikipedia per ogni dettaglio, a volte non è nemmeno importante sapere in che città del mondo si svolge una storia. Che sia verosimile,sì, ma non maniacale. Cerco qualcosa che mi faccia evadere, quando leggo. Cerco un "altrove" in cui la mia storia possa vivere. Cerco un "altrove" in cui vivere io.   

Genere preferito, letterario e cinematografico?
Sono onnivora, da sempre. In letteratura amo però horror e dramma e per il cinema/tv opto per fantascienza e commedie intelligenti. In nessun caso leggo o vedo storie legate alla seconda guerra mondiale, mi fanno troppo male.

La tua "Corazzata Potemkin"?
Direi "Pitch black" per il cinema e "Hannibal" (Lecter, per precisare) per la letteratura: penso di non aver mai incrociato di peggio. Volontariamente, perché poi potremmo anche considerare che esiste "50 sfumature...", ma non sono riuscita a leggerne più di una trentina di pagine. Noiosissimo.

Se il tuo libro fosse un film, chi sarebbe il regista e quale cast sceglieresti per interpretare i tuoi personaggi?
Il mio ultimo romanzo breve, "Addio a Bodhgaya", è una storia romantica e può essere letta in modi diversi. Credo che un regista come Lasse Hallstrom (The shipping news, Chocolat, Le regole della casa del sidro) potrebbe andare bene. Per i protagonisti, invece, nessun volto troppo noto. Sono tre ragazzi giovani, due europei e uno indiano, normali. Il fatto è che un volto troppo noto distrarrebbe dalla meraviglia dell'India e dal tema della storia.

Raccontaci un po' del tuo lavoro...
"Addio a Bodhgaya" nasce come racconto di viaggio. Mentre Arianna camminava per le strade polverose dell'India, però, è nata l'urgenza di raccontare le sue motivazioni più profonde. Perché era lì da sola, perché era così importante quel viaggio. Poi è arrivato Lucas e la sua assenza ha preso il sopravvento su qualsiasi idea avessi prima. Il lutto, il dolore privato e quello del mondo, il superamento del primo con la consapevolezza che tutto ha un inizio e una fine. Quindi è diventato un racconto troppo lungo ed è un romanzo molto breve. Una dannazione per editori...


Hai previsto un sequel, o un prequel? Uno spin off?
Questa è la prima domanda che una lettrice mi ha scritto nella primissima recensione ricevuta. Niente prequel o sequel. La storia è già tutta lì e sarebbe molto doloroso tornare ulteriormente indietro. Per un attimo ho avuto l'idea di raccontare il punto di vista di Lucas in uno spin off, come ho già fatto per "Gli attimi in cui Dio è musica", il mio primo romanzo. Non so se lo farò, per ora ho altre storie da scrivere.


Altri progetti?
Sempre troppi. Ora sta per uscire "Sette stanze", un romanzo romantico e sofferto, e "La festa", un racconto erotico che segue "La caccia". Ho terminato la revisione di un fantahorror impegnativo e lo sto inviando agli editori per vedere se piace. Sto finendo di scrivere un'altra storia tra il dramma e il paranormale. Di questo genere ho pubblicato un racconto l'anno scorso: "L'altra donna".


Se qualcuno volesse seguirti, dove ti può trovare?

Ho un blog: "Le storie di Clara"

Una pagina Facebook: Paola Ferrero

Pagine Google Plus, Twitter e Goodreads.

Potete acquistare "Addio a Bodhgaya", "Gli attimi in cui Dio è musica", "L'altra donna" e "La caccia", nonché lo spin off gratuito "Vittorio". Trovate anche "Sette stanze", tutti i link e le descrizioni sono nella pagina "Finora pubblicato" di questo blog.


E ora diamo inizio allo spettacolo!

Promozione in corso

Gentili passanti, volevo informarvi che per la promozione ideata dalla casa editrice che ha pubblicato i miei lavori, da oggi potrete trovare in offertissima i miei ebook.
Trovate "Gli attimi in cui Dio è musica" a €1,99;
"La caccia" e "L'altra donna" a €0,99;
"Addio a Bodghaya" e "Sette stanze" se non da oggi comunque in questi giorni.
Vi ricordo in ogni caso che "Vittorio", lo spin off de "Gli attimi..." è gratuito da sempre.
Altre mille offerte seguendo l'hashtag #primaveranimata
Per quanto riguarda il libro di poesie "Parole d'amore insano" potete richiedermi una copia cartacea scrivendo una mail a delgado969@hotmail.com
Grazie mille.

5.4.16

#polelove

Sono le nove e un quarto di mattina di un sabato.
Sono dietro a due scaffali con un gruppo di ragazze giovani e carine che mi chiedono se ho i piedi puliti. Truccata e pettinata, con addosso un costume coperto di paillettes.
Tra le mille cose che mi vengono in mente, una è una domanda interessante: "Ho quarantasei anni, che diavolo sto facendo qui?"
La mia prima gara di pole dance.
Tra le decine di cose che non hanno funzionato in questa avventura c'è anche il fatto che mi tocca aprire il contest, prima di circa duecento atlete/i, con tutta l'agitazione del caso e con il problema dei "pali freddi" (una cosa tecnica che non sto a spiegare, provateci voi a stare appesi per un'ascella su un palo di metallo verniciato, di prima mattina e con l'ansia crescente).
Poi ci penso e mi dico che non mi importa. Sono lì, tocca a me, non tutti lo fanno alla mia età e invece io ci sono.
Da quando ho deciso di iscrivermi è successo di tutto. Problemi a spalla destra e schiena, stimmate sui piedi, escoriazioni e lividi ovunque, giorni aggiuntivi di prove e allenamento, costume che non va mai bene, il panico dei pali più piccoli di quelli a cui sono abituata. Poco tempo per cucire le paillettes sul costume, l'idea dei petali che mi convince solo in parte, figure che normalmente mi vengono bene che cominciano a non venire più nemmeno per sbaglio. La musica della coreografia perennemente in cuffia, aggiusto i passaggi a mente giorno dopo giorno senza mai provare il pezzo intero. Tanto che quando finalmente mi sembra a posto - mentalmente - provo a farlo e muoio puntualmente a metà pezzo. Altri cambiamenti, zero tempo, prove tentate e sempre fallite. E la contrattura del polpaccio destro, una settimana prima della gara. In alcune posizioni fa talmente male che temo di non farcela, così non provo più. Se devo farmi male lo farò sul palco, poi magari mi fermo.
E adesso sono qui, in attesa di entrare. So cosa vuol dire, dopo tanti anni di danza sono sicura che durerà un attimo. Che finirò e mi chiederò "ma è già finito?" e ricorderò frazioni dell'esibizione da un punto di vista che non è propriamente in soggettiva. 
Poi il silenzio, so che tocca a me. Esco, vado al palo su cui devo iniziare e mi preparo. Poi tutto scorre e mi trovo ad avere finito. Esco, salgo negli spogliatoi, mi metto la tuta e le scarpe e esco. Ho bisogno di smaltire.
Quando torno entro in un clima differente. Al di fuori della mia esibizione, che a questo punto è andata, mi rendo conto di quanto è bella questa cosa. Tanta gente che assiste, tante atlete che si incontrano, si riconoscono, si incoraggiano e aiutano, si stimolano. E non è scontato, non è così ovunque. Talmente bello che tornare a casa è quasi la fine di un sogno. Una pausa in cui succede di tutto, le piccole under 13 che zompano da un palo all'altro con un'agilità che io non avrò mai che coabitano nella stessa sala con un ragazzone di due metri con stivali tacco 20 numero 43. E non ci vedono niente di strano, come me. Un paese delle meraviglie che unisce persone che arrivano da mille posti diversi, che hanno storie tutte diverse da raccontare, esperienze di ogni tipo, diverse formazioni e interessi. Cicatrici e segni sulla pelle che condividono con te.
Quindi, alla fine, non importa nemmeno sapere come mi sono piazzata. Già è una vittoria esserci arrivata fin lì. Già è una soddisfazione la girandola di emozioni provate nel guardare tutti i miei simili fare la loro performance e uscire sorridendo, o piangendo, qualcuno sanguinando. E ridere e piangere con loro, dalla platea, osservando i volti dei giudici al termine di ogni pezzo per indovinare di chi sarà il podio.
E gridare come impazzita per la vittoria di Maria e per il terzo posto di Zeynep, compagne di viaggio e di squadra insieme a Stella. E rientrare, con Federico alla guida, cercando di trovare le canzoni adatte per accompagnarci nella notte fino a destinazione, sognando già la prossima occasione.
Grazie, a questo mondo meraviglioso e a chi ha organizzato il tutto riunendo una grande famiglia bizzarra e colorata, con ciglia finte e paillettes, con tacchi vertiginosi o a piedi nudi.
Grazie, Pole Position, ci vediamo l'anno prossimo.