6.6.11

La statua del Budda

Il Budda che abbiamo portato dall'India resta immobile al suo posto. Il suo legno chiaro è ancora bello e il suo sguardo confortante. Di tutti i posti dell'India che ho visto mi manca solo Bodhgaya e il suo tempio tranquillo pieno di cani randagi e di monaci. I suoi scoiattoli, gli uccelli e il caos del mercato davanti all'ingresso. I buonissimi lassi di Gautama, anche nei loro bicchieri sciacquati in fretta sotto l'acqua di un rubinetto appena fuori dal chiosco. Aspettare le foglie dell'albero del Budda, così lente a cadere, per raccoglierle e portarle agli amici... La foglia che avevo preso per mia madre è qui, accanto alla statua di legno. Con lei è andata la foglia che avevo tenuto per me, la più piccola che avevo raccolto.
Ogni tanto lo accarezzo, il Budda. Forse perché è bello. Lavorato alla perfezione. Forse perché mi ricorda quel posto, tranquillo in un paese caotico al massimo. Dove abbiamo conosciuto Saswati e Shounak, mamma e figlio, accompagnati da un taciturno marito e padre. Dove ho maledetto il fatto di non poter aiutare anima viva, dove ho visto cadaveri di cani per strada e di uomini sui tetti delle auto. Dove ho dimenticato per qualche giorno la brutta sensazione che mi accompagnava dall'inizio dell'anno. Dove ho comprato birra in un negozio con le sbarre e ho bevuto la Coca più scaduta del mondo. Ma sono ancora qui.
Mi ricorda degli occhi scuri e delle mani lunghe che lavavano il pavimento con uno straccio liso, dei ranocchietti minuscoli, orde di bambini che correvano a scuola in divisa e piogge torrenziali improvvise. E risate sotto l'acqua, piedi scalzi sul pavimento bollente del tempio, camminate lungo il perimetro e anche dall'albergo al tempio. Su e giù, avanti e indietro, e il caldo...
Mi ricorda pancakes e tè al limone bollente, cene cinesi vegetariane con a fianco le mucche che riposano in silenzio. Autobus pieni di gente vestita di arancio che festeggiavano Shiva, un viaggio fino in cima a un cucuzzolo per vedere una grotta minuscola, un altro con una seggiovia che solo a pensarci mi viene male per salire ancora in cima a un monte e trovarci un vecchio mantra, coi suoi 5 caratteri incisi nella pietra.
Mi ricorda che si sopravvive a tutto. Che la sofferenza dell'anno scorso è stata grande, ma che ora mi lascia qualcosa dentro che altrimenti non sentirei. Che sono qui e non voglio smettere di scrivere, di sognare, di usare le parole che mi vengono così facili per raccontare storie.
Non mi manca molto per essere la persona che voglio essere...

2 commenti:

FataMatta ha detto...

<3 (che qui non verrà ma non importa, capirai comunque!)

PaolaClara ha detto...

;) che qui viene come al solito e che tu capirai altrettanto...