10.4.09

La mia rabbia

Ho lottato a lungo, tanto a lungo che mi sembra d'aver vissuto più di una vita soltanto.
Inizialmente era un dolore sordo, il mio. Un dolore o una rabbia, che mi impediva di prendere le cose alla leggera. Tutto è stato, a lungo, troppo pesante da sopportare.
Ora so che spesso si nasce con questa predisposizione e mi rendo conto che qualsiasi situazione, anche la più felice, la più spensierata, avrebbe prodotto lo stesso peso che ho provato vivendo questa vita con questi dolori e queste difficoltà.
Ma tant'è, e la mia vita ha portato con sè un fardello di sensazioni tremende che cercavo di nascondere e vivevo come pulsioni intime e sbagliate. Sentendomi cattiva, sbagliata, inumana. Esattamente il sistema che ho scelto per punirmi.
Mostrandomi carina, educata, gentile, tranquilla. Molti mi hanno vista e conosciuta come una bambina pacifica. Alcuni hanno conosciuto una ragazzina con esposioni di rabbia e di violenza, alcuni hanno visto più di altri il mio abisso. Quelli che avevano un peso simile al mio mi si avvicinavano istintivamente. Gli altri non capivano, generalmente.
Il fatto è che non si può nascondere la rabbia troppo a lungo. Prima o poi si finisce con l'esplodere, col rivolgere tutta quell'energia su di se, o sugli altri. La rabbia fa male. Quando la tieni troppo a lungo ti logora l'anima, ti fa soffrire esageratamente. Il dolore diventa cronico e non basta parlare per liberarsene.
Bisogna urlare. La rabbia va urlata. Va buttata fuori. Va espulsa. Lanciata mille miglia lontano. Prima che uccida. Prima che si finisca col farsi del male o farne troppo agli altri. O tutte e due le cose.
In certi momenti mi sono sentita così stanca che avrei voluto morire. Per riposare, per non sentire più il rombo sordo dei miei nervi tesi. Per non vomitare cattiverie addosso a chiunque avessi intorno, per smettere di ingrassare e ingrassare e ingrassare senza mangiare.
La rabbia mi ha distrutto parte della vita, mi ha impedito di vedere molte cose belle, di godermele e di farne tesoro. Troppo presa da intenti vendicativi. Dalla voglia di distruggere.
Mi ha dato forza, troppa. Energia che mi faceva fare sforzi fisici come se stessi scherzando, che mi faceva stare in piedi anche quando era fisicamente impossibile.
Per rabbia ho camminato per 14 km nella notte senza pensare a quanto rischiavo. Ho aggredito gente più pericolosa di me, ho desiderato di avere un'arma in mano, per uccidere.
Ho smesso di pensare a me, di stare bene, di ricordare; non ho vissuto anni della mia vita.
Per poi capire che bastava rigettarla. Bastava renderla creativa, usarla per concludere qualcosa. Usarla e non più farmi usare.
Amarmi e non più cercare di ferirmi, di punirmi, di zittirmi.
La rabbia che ora provo è più simile alla consapevolezza. Più limpida, non acceca. Mi rende più attenta, forse un po' più cinica di quanto dovrei essere. Più pronta.

2 commenti:

branzino ha detto...

si, ci vuole consapevolezza di se stessi, anche della propria rabbia, che non è solo distruzione di sè e attorno a noi. E serve buttarla fuori, ma bisogna anche saper valutare quando e come. Io l'ho sempre tenuta dentro la mia. E ho imparato ad accettare (o forse no) i miei lati bui.

Un abbraccio x te
Luciano

PaolaClara ha detto...

Forse in certi casi, come nel mio, a un certo punto non si può più tenere dentro, anche se la si conosce e la si è accettata. Diventa un veleno che ammorba tutto quello che hai intorno e non ti fa più ragionare correttamente.