13.7.10

Con occhi diversi

Metti un matrimonio nel weekend più caldo del mondo a molto più di 6km di curve dalla vita; metti una chiesetta arroccata quasi in cima a una montagna dolce, con un bel giardino intorno e quella sana puzza di merda di cavallo; metti un viaggio di tre ore e mezza per arrivarci in tempo e ancora freschi.
Parcheggiamo la macchina nel momento esatto in cui arriva la Mercedes con la sposa. Siamo in orario, quasi. Lei, un metro e ottanta di meringa di una bellezza e luminosità rarissime, ci vede e quasi esulta. Agitata, emozionata, si aggrappa al padre e aspetta che sia il momento giusto per fare il suo ingresso in chiesa. Noi ci facciamo notare da chi ci aspettava e ci posizioniamo strategicamente al fondo della chiesa. L'organo comincia la marcia, la sposa entra e si parte.
Dannata empatia, mi commuovo un pochino pur essendo allergica a più di una cosa tra quelle elencate prima. Curve, caldo, chiesa, matrimonio classico... Fate voi.
Qualche frase e usciamo, manca l'aria. Fuori, all'ombra del giardino, va meglio. Così pensano anche tutta una serie di invitati che fanno la nostra stessa spola tra dentro e fuori a intervalli regolari. Noi ci guardiamo attorno, oltre agli sposi e ai genitori della sposa non ci pare di conoscere altre persone. Sguardo critico-satanico attivo per capire dove siamo e cominciamo a fare le nostre considerazioni.
Innanzitutto ci sembra incredibile il fatto che, nonostante gli anni di assenza prolungata dal rituale cattolico, ci ricordiamo entrambi la messa, parola per parola. Che non è una cosa grave in sè, ma ci pare uno spreco di risorse per qualcosa di cui non ci è mai importato granché.
Accanto a noi sfilano gli altri invitati, molti con pupo nella carrozzina, qualcuna allatta all'ombra di un albero poco distante. L'antica fighetteria del corso presenta una sfilata di cravatte in diverse tonalità di viola, colore dell'anno, sopra a un abito formale ma non troppo. Bambini si rincorrono con i pugni pieni di riso, ci si sistema per il lancio simultaneo coordinato dai fotografi, si baciano gli sposi fuori dalla chiesa. E fin qui tutto nella norma.
Poi vengono le usanze del luogo. Ci si sposta rigirosamente in macchina fino al paese dello sposo per un rituale decisamente pagano. E va beh. La mia idiosincrasia per qualsiasi tipo di rituale è nota, quindi tocca mettere tutta la buona volontà per mantenere il sorriso sulle labbra. Questa gente non m'ha fatto niente, ancora... Segue una specie di corteo a piedi in giro per il paese a brevi tappe sotto il sole di mezzogiorno, tutti bardati a festa e io col mio solito tacco 10.
Poi il ristorante, a 40 minuti di altre curve dal paese. L'aria condizionata a livello surgelatore mi salva la vita. Quasi.
Gli antipasti serviti fuori sono fuori discussione, non ne tocco uno manco se mi pagano finché non mi si risistema lo stomaco, la testa e l'umore. Poi il delirio.
Insomma: scene da un matrimonio che per chiunque sono nella norma tranne che per me. Gente che urla, invoca il brindisi in nome di una appartenenza qualsiasi, un continuo rombare di posate di tavole e di piedi. E un altro rituale che si compie. Forse un po' troppo, per me. Mi salvano dalla crisi i racconti bizzarri del medico che ho davanti. Mentre osservo, però, che i paesani bevono un po' più degli altri, che i loro occhi diventano sempre più liquidi, che la "violenza" della comunità si fa sentire, sottile. Dall'obbligo del brindisi a quello del taglio della cravatta da parte dei solti "noti" (per i locali di certo) travestiti da briganti (ancora) e armati, questa volta, di vere accette e falcetti ( e in più, più bevuti di prima).
E osservo... Una parte di questa cosa mi sembra già vista. Serate di paese senza un tubo da fare se non bere fino a dimenticare dove si è. E mi domando: "ma sono di nuovo qui?". Questi personaggi mi inquietano. Mi domando se sia perché li sento tanto distanti o se in qualche modo ci sia una parte di me che sente la nostalgia di questo "potere" di gruppo che si manifesta nel controllo totale della vita degli sposi, sebbene in modo simbolico.
Insomma, dopo un po' li osservo con occhi diversi e non mi stupisce vedere il fighetto con l'aria del tipo tutto d'un pezzo che dopo un bicchiere di troppo sembra un cucciolo bastonato, mentre il suo socio che aveva l'aria tranquilla ha uno sguardo più cattivo. Queste cose le conosco.
Sono scappata da queste cose. E mi chiedo: "ho fatto bene?" o "mi mancano?"
E se avessi sbagliato io a scegliere la distanza? Se questa fosse la vera realtà e io mi fossi ritirata in un sogno? Se davvero la vita fosse quello e non quella che io credo sia?
Al di là del pranzo, della piacevole compagnia dei nostri conoscenti, del relax seguente, mentre gli altri ballavano e storpiavano canzoni, quello che mi resta è una visione Lynchiana di uomini seminudi con parrucche e sacchi di plastica in testa, armati in vario modo, che irrompono nella normalità di un matrimonio per trasformare il giorno in un sogno dai risvolti più simili a Twin Peaks che al Matrimonio del mio migliore amico (che mi sembra più normale, ma molto più normale).
Sono piuttosto confusa...

4 commenti:

Fata ha detto...

Ecco... capisci perché alla parola "matrimonio" mi si contrae lo stomaco... Che dalla mia parte posso controllarli, lasciare a casa alcuni personaggi, minacciare gli altri ad esempio di amputazione degli arti se si mettono a strombazzare dietro all'auto degli sposi... ma dall'altra non so bene chi mi capita... e mi vengono i brividi solo all'idea di certi matrimoni che ho vissuto/subito in passato!

PaolaClara ha detto...

Certo, lo stesso per me, che ho avuto comunque la possibilità-forza di scegliere di fare di testa mia a costo di offendere parenti e amici. Però a volte mi chiedo se alla fine, con questo "snobismo" non mi sia persa qualche cosa... (credo di no, però farsi delle domande ogni tanto fa anche bene)

Fata ha detto...

Farsi delle domande fa sempre bene, a prescindere!!!

PaolaClara ha detto...

;P