15.9.13

Inquietudini d'autore, pardon... d'autrice

Mi sento come questo cielo visto da casa.
Il problema del talento. Non tanto sapere da altri che c'è, quanto il saperlo da me.
Leggo e mi chiedo perché molti dei lavori altrui, pur avendo una struttura corretta e tutti i "crisantemi" - che almeno una parola al giorno la devo storpiare - non mi piacciono. Mi annoiano, mi disturbano. Sia quelli inediti che alcuni pubblicati. Prevedibili, pieni di luoghi comuni e vuoti di quella magia che, una volta terminato il romanzo, ti porta a riaprirlo più volte per riprendere alcuni passaggi.
Forse sono diventata troppo esigente, anche se continuo a preferire letture poco impegnate, se non trash. In alcuni di questi romanzi non c'è nulla che sia memorabile, eppure mi lasciano un sorriso e voglia di andare avanti. Cosa che romanzi più "seri" non fanno da tempo.
Sono in una fase in cui mi chiedo che cosa voglio fare con la mia scrittura. Perché ho sempre scritto e probabilmente continuerò a farlo comunque. Il problema è se crederci davvero fino in fondo o lasciare che sia, come per la pittura, uno svago rilassante e piacevole in cui coinvolgere al massimo gli amici che hanno voglia di essere coinvolti.
Mi chiedo se ci sia spazio per me sugli scaffali, in mezzo a miriadi di altri autori più o meno meritevoli. Cosa ho da dire più di loro? Cosa mi rende diversa da un aspirante qualsiasi? Cosa penso di ottenere? Ho davvero voglia di fare tutta questa fatica a cercare di pubblicare quando anche professionisti hanno smesso di crederci? Quando autori pluripubblicati cominciano a far da sé con Kindle o altre piattaforme? Quando ci sono "marchette" ovunque per libri pressoché illeggibili fatti in serie a seconda della moda e non c'è alcuna possibilità di emergere se non si segue l'onda?
Perché non è che io non sia in grado di scrivere romanzi erotici, ma li voglio scrivere quando pare a me, non quando tutti leggono romanzi erotici (in cui guarda caso ci sono solo innocenti fanciulle trasformate in eroine del sesso da uomini tenebrosi e navigati con perversioni più o meno probabili). E sì, voglio scrivere di vampiri ma non li voglio mandare al liceo per tutta la vita, non voglio che siano vegetariani o pentiti o vecchi nobili rimbambiti da secoli di isolamento a causa dell'amore. E non voglio che gli alieni vengano sulla terra suonando l'organo o invadendo le menti e i corpi degli umani. Ma soprattutto non voglio legarmi a un genere, a un tipo di storie, a una serie di cliché solo perché oggi va bene quella storia lì.
Voglio scrivere le mie storie, tutte diverse e tutte mie ugualmente.
Mi chiedo, sono in grado? Posso farlo senza preoccuparmi di altro? Editori, marketing, mode, codici di comportamento, concorsi più o meno truccati, fascette fasulle, disonestà cronica...
Posso aspettare una vita chiedendomi se ho il talento necessario o devo semplicemente buttarmi come se lo avessi? Voglio fare la figura del genio incompreso o quella dell'intellettuale snob, quella dell'eremita che vive della sua scrittura vada come vada o quella dell'autrice tutta sorrisi e presentazioni?
Ho davvero così tanta voglia di mondo reale?

2 commenti:

easy runner ha detto...

Va beh, se la chiami terapia di gruppo mi sento autorizzato a dire la mia.
Più domande ti poni e più l'inquietudine è destinata a crescere.
Abbraccia un po' di slow life perché lo scaffale non diventi un altare da venerare.
Se qualche vuoto rimane da colmare, un fermalibri colorato può fare da temporaneo riempitivo.

Easyciao.

PaolaClara ha detto...

Io vago ondeggiando tra inquietudine e slow life. Mi devo chiedere ogni tanto se vale la pena di sforzarsi. Che poi son pigra e se non vale la pena... ;)
Se lo scaffale diventasse altare ho già pronti amici fidati che mi abbatteranno a colpi di machete e segnalibri con la calamita anti gatto.
Ciò non toglie quella sottile punta di noia e delusione...