2.6.13

E ci penso

Vedo fiorire le pubblicazioni dei miei amici. Una dopo l'altra.
Non mi infastidisce di certo e non sono invidiosa del fatto che loro pubblichino e io no.
Perché in fondo io non ci sto provando davvero e lo so. Per carità, partecipo ai tornei, ai concorsi, stampo e mando qui e là i miei romanzi finiti. Forse non a tutti quelli cui dovrei mandarli, non mi "sbatto" per cercare un editore in più oltre a quelli dell'elenco che ho sul pc. Guardo, sì, su internet quando mi capita un editore che non conosco. Penso: magari gli mando questo o quel romanzo, per provare. Poi non lo faccio.
Sembra un secondo lavoro e io non ho voglia di farlo. Anche perché sarebbe come un terzo lavoro, in effetti.
A me piace scrivere, scrivere le mie storie senza pretesa di fare Letteratura, sul mio divano col portatile in grembo. Non nego che mi piace essere letta e che se ciò che ho scritto viene apprezzato sono davvero contenta. Non nego che mi piacerebbe avere in mano dei libri di carta stampata sulla cui copertina spicchi il mio nome, ma il più delle volte ci penso e mi dico che non importa. Non per paura di non farcela, ormai so quali sono i miei limiti e quali i miei pregi. So di non scrivere male, ed è già qualcosa.
Si parlava, qualche giorno fa, dell'effetto di certi giudizi che si ricevono al torneo di Gems. L'anno scorso mi hanno detto diverse cose per cui ho riflettuto ulteriormente sul romanzo con cui avevo scelto di partecipare. Qualcuno aveva ragione a dire che era una prima stesura (in effetti non esistono mie seconde stesure), ma i giudizi più negativi sono stati quelli che mi hanno convinta a rimandare la stessa identica storia non correggendo nemmeno i piccoli errori (la mancata accentazione del sè, che già sapevo di dover correggere). Come fosse un vaffanculo.
Probabilmente non sono pronta a fare questo lavoro, lo ammetto. Non a riscrivere daccapo i romanzi, non a passare ore in posta a spedire plichi commentando con l'impiegata riguardo a quanti siamo a fare questa trafila ogni settimana. Non ad aspettare risposte che non arrivano, non a sottostare a milioni di regole che a me non portano chissà quale guadagno. Nemmeno a pubblicarmi da sola i miei scritti e svenderli per poter scalare le vette delle classifiche. Piuttosto li regalo.
Il fatto è che ci vuole fortuna, oltre a lavorare per crearsene.
E che ci sono milioni di cose ben più importanti nella vita. Forse la fama non fa per me, forse nemmeno il sacrificio e nemmeno la costante attenzione a quanto piace quello che faccio.
Sono divisa. Tra la parte di me che ha voglia di dimostrare al mondo di essere brava e quella che del mondo se ne frega. Chissà chi vincerà?

2 commenti:

Fata ha detto...

Ahimè... ti capisco benissimo!!!
E alla fine penso che quando sarà il momento -almeno per me- le cose accadranno senza eccessivi sforzi.
E' sempre stato così, perché non in questo caso?

PaolaClara ha detto...

In effetti di solito è il mio atteggiamento, quello di lasciare che le cose facciano il loro corso senza interferire. Solo, a volte, mi chiedo fino a che punto sia giusto non provarci affatto con la giusta energia...