12.3.09

Maria Teresa

Maria Teresa non parlava mai della guerra.
Nemmeno una parola al riguardo. Niente sui bombardamenti di Torino, sulle sirene di allarme, sugli infernotti in cui si riparavano con la figlia in culla. Non una parola.
Nemmeno sulla loro vita da sfollati a Chiomonte, sullo spavento per il rapimento del padre da parte dei partigiani per scambiarlo con un po' di cibo. Non parlava dei soldati nel cortile della casa in cui erano ospitati.
La guerra era in lei, comunque. In fondo non ne era uscita mai, fragile come era. Le era rimasta addosso come un vestito stretto. Nei nervi e nelle mani, che non avevano smesso di tremare.
Poi si era aggiunto altro e presto l'unico sollievo per lei era suonare il pianoforte, che suo marito diede via. Allora si chiuse in se stessa e si affidò ad altro.
Penso non sia stata una buona madre. Non nel senso stretto del termine. Più presa dal bere e dai suoi fantasmi che dalla reale necessità dei suoi figli. Lo è stata al limite delle sue possibilità.
Lo è stata anche quando i figli erano gli unici a rendersi conto dello stato delle cose.
Ma non si poteva fare niente. Niente.
Maria Teresa era una donna fragile, davvero. Possedeva un senso poetico rarissimo, sapeva sentire le cose, respirava il bello. Ma non riusciva a combattere quella parte di lei che era ferita e disperata.
Amava la musica, il disegno, la pittura, la poesia. Più avanti aveva trovato una piccola complice nella nipotina. Una bimbetta solitaria che scriveva con la sinistra finché Maria Teresa non le ha insegnato a usare la mano giusta. A reggere un pennello, a mischiare colori. A raccontare storie fantastiche, a immaginare tutto il bello possibile.
Maria Teresa era triste. Ogni pomeriggio si chiudeva nel buio della sua camera con un libro e ne usciva tardi. Si faceva aiutare a lavare i piatti e dava alle fette di pane la forma dei semi delle carte prima di spalmarle con marmellata di fragole e Nutella. Amava passeggiare nel grigio di Torino, col suo cappotto nero e i capelli raccolti in una corona scura arricchita da un foulard. Mano nella mano con la nipotina. Con le mani che tremavano, a volte.
Era dolce. Sensibile all'immateriale quanto suo marito era negato per queste cose.
Le piacevano le cose ben fatte, le piante in salotto, l'albero di Natale pieno di luci proibito fino all'ultimo secondo. Amava stupire la bambina con i regali che spuntavano dal nulla.
E la bambina amava lei. Incondizionatamente. Amava ogni istante passato a creare mondi diversi. Ogni pennellata di cielo che i colori a olio permettevano di fare.
Maria Teresa amava molto, nascosta nel suo mondo poetico, persa nelle sue fragilità infinite. Una donna senza pelle, senza difese. Che non ha retto alla spinta del mondo, che non ha saputo reagire se non incorporando altro dolore in se. Che ha lasciato andare via il soffio perché non poteva restare sola.
Maria Teresa è rimasta a lungo, dopo esser morta troppo presto. Rimasta nei muri di casa, nel mondo sottile della stanza di notte, nel freddo tocco di una mano fantasma.
Lei è rimasta e rimane.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

si sente anche qui che è rimasta..
:)

Anonimo ha detto...

che sia uno splendido weekend

PaolaClara ha detto...

Quasi come fosse ancora viva, no?
E... grazie Branzino , anche a te.

Anonimo ha detto...

si è come se fosse ancora viva per tutte e due

April15 ha detto...

Una bella e intensa testimonianza d'affetto. Sei bravissima PaolaClara. Ti faccio i miei più sinceri in bocca al lupo, anche per il tuo "piccolo primo libro"
Pina

PaolaClara ha detto...

Grazie Pina , domani gran giorno di presentazione. E mi piacerebbe che Maria Teresa fosse qui con me, fisicamente...