15.10.15

Di avere, essere e altre storie

Negli spizzichi di tempo che mi restavano tra una cosa e l'altra, ieri sono incappata in un articolo di Internazionale riguardo agli e-book di Amazon.
Avendo pubblicato un romanzo e due racconti in formato digitale è ovvio che la questione trattata mi tocca personalmente sia come autrice che come lettrice - visto che posseggo un Kindle e che regolarmente acquisto e-book proprio da Amazon.
La questione è duplice. Da una parte, l'autrice dell'articolo si domanda cosa succederebbe se improvvisamente Amazon fallisse - cosa che migliaia di librai auspicano, tra l'altro - visto che quello che noi "acquistiamo" ha un formato particolare (il .mobi) vincolato all'e-reader, quindi ad Amazon. Partendo dall'abitudine recente dei consumatori a servirsi dello streaming per i film e del digitale scaricato da I-Tunes nel caso della musica, si arriva al libro e al mutamento culturale in atto, che ci porta a rinunciare al supporto fisico in favore di un utilizzo più comodo e veloce ma meno "sicuro".
Quello che noi consideriamo acquisto, in realtà oggi si riduce a un noleggio a lungo termine che potrebbe terminare non appena il fornitore dovesse fallire, o cambiare le condizioni di vendita. Il digitale, programmi per pc compresi, in qualche modo non ci appartiene mai, anche se siamo convinti di averlo comprato.
Quindi il concetto di acquisto, se parliamo di beni digitali, andrebbe rivisto.
"Qualunque cosa sia conservata in un server situato da qualche parte del pianeta è effimera." Dobbiamo farci i conti. Immediatamente disponibile, comoda da fruire, ma effimera. Potrebbe sparire da un momento all'altro. Eppure questo è in qualche modo il futuro.
Alla fine dell'articolo si ipotizza addirittura la perdita di una grande quantità di contenuti: "Agli inizi del ventiduesimo secolo ci troveremo di fronte a enormi lacune di sapere e cultura, perché nessuna di queste aziende esisterà più." Il rischio è quello. Posto che Tutto il sapere e tutta la cultura siano in mano a quelle aziende. Posto che qualsiasi film e qualsiasi libro o brano musicale siano cultura. Posto che qualsiasi altro supporto sia meno effimero. Perché poi, se ben ci pensiamo, anche la carta si distrugge - come il vinile, la pellicola, la materia.
Una delle mie considerazioni subito dopo la lettura è stata appunto che non necessariamente ciò che viene prodotto dalla creatività umana è cultura o sapere. Se prendiamo la musica come esempio non potrei mai mettere sullo stesso piano Dvorak e Giusy Ferreri - senza pensare tanto a uno o all'altro, avrei potuto dire Gerswin e Biagio Antonacci o Vivaldi e Rihanna - e per quanto perdere definitivamente una traccia dei tempi quale può essere un brano musicale sarebbe comunque brutto, certo non avrei dubbi su quale dei due sia "cultura" o "sapere".
Lo stesso si può dire per quel che riguarda film e libri. Di certo con l'avvento del self publishing - di cui la stessa Amazon è "colpevole" - ci troviamo di fronte a migliaia (no, centinaia di migliaia tra una cosa e l'altra, voglio fare la snob) di titoli che di certo non sono "cultura" ma solo specchio del tempo.
Diciamo che buona parte di ciò che si produce e vende attualmente è un bene di consumo che ha lo scopo di divertirci. Credo che per preservare cultura e sapere non sia necessario semplicemente avere un supporto fisico, ma occorra trasmettere con istruzione ed educazione sia la cultura che il sapere.
Qualche anno fa scrivevo qui (con seguito qui) a proposito del cambiamento del nostro modo di "ricevere" dovuto al passaggio da oralità a scrittura e ora a immagine. Siamo di certo in un momento di passaggio tra la scrittura e l'immagine, il che ci farà perdere sicuramente parte di ciò che eravamo e che siamo stati, ma aprirà comunque nuove prospettive. La paura del cambiamento è ovvia e naturale, ma dare a un supporto più valore di quanto ne possa avere la mente umana è stupido.
Se perdiamo qualcosa, sovente è a causa della disattenzione che mettiamo nella vita e nelle cose che facciamo. Ma ne impariamo molte e molto più in fretta al giorno d'oggi, anche se non affidiamo più alla memoria la custodia di quei dati (le poesie, alle elementari e alle medie, che nostalgia...) e abbiamo un mondo di informazioni, di cultura e di sapere a disposizione quasi immediata. Il problema forse sta nel non saperle raggiungere, alcune cose che sono così vicine.
La seconda considerazione, forse meno intellettuale, è che sapendo scegliere che cosa per noi è importante possiamo evitare di riempirci di roba inutile.
Attualmente vivo in una mansarda di 67 metri quadri. Un open space privo di pareti e, appunto, mansardato. Ci arrivo da un alloggio normale di 100, pieno di pareti, in cui avevo ammucchiato l'inverosimile. Cose che mi trascinavo dietro da decenni e che mi riempivano casa togliendomi l'aria e obbligandomi a una cura che non avevo più voglia di riservare a oggetti ma che volevo rivolgere a me. Film, musica e libri, anche. Il drastico restringimento di spazio mi ha costretta a eliminare gran parte di queste "cose", non senza una certa difficoltà, e al valutare bene quanto portare dentro alla casa nuova. Sì, ho eliminato una parete intera di libri (portandomene dietro ancora parecchi) e non mi dispiace. Da allora la maggior parte dei libri che acquisto sono in formato digitale, ascolto la musica da youtube e alla radio - non ho nemmeno caricato I-Tunes sul pc e l'I-Pod sarebbe da buttare - vedo i film in tv o li noleggio. Quando vale la pena di tenere qualcosa lo acquisto in un formato differente: libri cartacei e dvd, principalmente. Il resto lo "utilizzo" e lo lascio lì, se anche sparisse probabilmente non ne sentirei la mancanza. Perché tendo a ricordare a lungo ciò che leggo o ascolto - merito della mia memoria, anche se invecchiando non ho più a mente l'elenco esatto dei film che posseggo con tanto di posizione nello scaffale uno per uno e a volte devo pure cercare i libri perché non ricordo dove li ho sistemati - e quando una cosa mi entra nel cuore difficilmente se ne va. La mancanza di spazio e la necessità di leggerezza mi hanno fatto bene, in generale.
Quello che voglio dire è: "abbiamo veramente bisogno di avere tutto quello che c'è a disposizione?"
Non è che questa necessità di accumulare sia indotta da una società che impone un certo modo di vivere? Avere e non condividere, avere e non usufruire liberamente senza accatastare oggetti e devastare foreste, inquinare con rifiuti, alimentare una catena che così non fa che disumanizzarci. Noi non siamo ciò che abbiamo, siamo ciò che abbiamo dentro ed è diverso. Siamo quello che diventiamo quando qualcosa ci arricchisce, ma non è detto che tenerlo chiuso in casa ci arricchisca di più. 

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