14.4.07

Nella foresta

Uscendo dalla stanza si fermò ad osservare quell'otto in ottone che brillava sul legno scuro. Era un albergo strano, il suo. Tutto sembrava inverosimilmente bianco e pulito, a dispetto di ogni previsione in un paese del terzo mondo. Le porte, le scale e gli altri infissi si stagliavano nere su tutto quel bianco come a dire: "io sono qui".
Lei indossava un vestito leggero, una garza di cotone che si appoggiava appena sulla pelle già abbronzata da mesi di viaggio. Sulla sua pelle quella tonalità ricordava l'acqua marina.
Scese le scale, sfiorando con le dita la ringhiera, sicura di non averne bisogno, forte del suo equilibrio. La luce del sole creava un bizzarro riverbero in ogni angolo di quel posto, che alla fine sembrava brillare di luce propria.
Fuori, invece, tutto era verde.
Il prato, le siepi, le palme. I tronchi degli alberi, persino. Un colore ipnotico, penetrante. Giusto il tempo di abituarsi e non se ne poteva più fare a meno.
Lei stessa usciva dalla stanza solo per immergersi in quel verde. Percorreva giorno dopo giorno tutti i sentieri possibili, cercandone di nuovi, come per perdersi definitivamente in quel sogno.
Anche quel giorno, uscendo, si era inoltrata da sola lungo i sentieri della foresta. Subito la sua percezione ritornò animale.
I suoni sordi dei rami e delle foglie, le noci di cocco che si staccavano e piombavano a terra con un tonfo fangoso, il movimento furtivo degli uccelli e dei piccoli animali che temono l'uomo predatore.
L'odore di terra umida, di acqua che scorre lenta, di muffa che cresce, di vita.
E la meraviglia della visione di tutto quel verde che scintilla in milioni di sfumature. Seguire un sentiero diventa quasi impossibile se si tiene il naso puntato verso il tetto di foglie infinite.
Così lei camminava, assorta nelle sensazioni che quelle sue passeggiate le davano, certa che se le sarebbe portate via al suo ritorno alla vita di sempre. Proseguì, lenta, nella sua perlustrazione. Era un sentiero nuovo, uno di quelli il cui ingresso è sempre nascosto dalla vegetazione. Eppure sembrava così battuto...
Quando le sembrò di non poter proseguire spostò l'ennesima foglia gigante e trovò la radura.
Rimase senza fiato per la bellezza di ciò che vide davanti a sè. Rovine. Pietre levigate dalle mani e dal tempo, squadrate, impilate, ordinate per essere utili all'uomo. E una vasca.
Una vasca enorme con acqua pulita e giovani ninfee che ne prendevano possesso. Una scalinata di pietra indicava la via all'acqua e fiori a cascate la incorniciavano.
Senza pensare lei si tolse il vestito e s'immerse, nuda, nell'acqua fresca. D'improvviso un gruppo di bambini dalla pelle ramata invase la radura e, vedendola nell'acqua, ridendo la imitarono. Nuotarono insieme, giocarono a lungo, senza badare alle differenze, ai colori, alla pelle nuda, come se fossero tutti fratelli e sorelle, finchè non furono stanchi.
Lei uscì dall'acqua. I capelli neri le si incollarono lunghi sulle spalle e sulla schiena, disegnando insoliti tribali sulla sua pelle, così come faceva l'acqua che scivolando sulla sua pelle ritornava alla vasca, come se ne temesse la lontananza.
Indossò il vestito sulla pelle bagnata, rimise i sandali e tornò per il sentiero che l'aveva condotta là, senza dubbi sulla strada da fare.
Quella notte sognò la vasca, ed il sogno la turbò. La vasca divenne la sua ossessione, come una strana malattia. Fece alcune ricerche per scoprire quali origini avesse, ma il tutto sembrava molto oscuro. Finchè non trovò una donna, che le raccontò una strana storia riguardo ad un rituale di fertilità che si svolgeva in quella vasca nell'antichità, quando si pensava che nell'acqua vivesse un essere vermiforme e che quest'essere fosse un dio.
Partì dopo una settimana, come previsto. Era tornata ogni giorno alla vasca ed ogni giorno si era bagnata coi bambini, ogni notte aveva sognato di immergersi.
Ogni volta aveva amato il dio che in quella vasca viveva.
Quando tornò alla vita di sempre, lei non era più la stessa donna di prima.

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