7.2.11

L'arrivo dello straniero

Dorotea lo sentì arrivare mentre ballava.
Qualcosa nell'aria, non solo l'odore, lo aveva preceduto. Una specie di vibrazione, diversa da quella dei bassi nelle casse della discoteca. Sapeva di sandalo, di verde e di eterno. O, almeno, di molto antico.
Lei continuò a muoversi al ritmo ossessivo della house music, voltando il capo di qua e di là per vedere chi, della sua razza, stava entrando nel suo territorio. Non che ci fossero questioni di confine, ma le loro comunità erano ben distribuite e tendevano a non spostarsi se non quando fosse una questione di sopravvivenza. Non c'erano guerre in corso, non che lei sapesse. Soprattutto, però, non aspettava visite.
Le ci volle qualche istante prima di individuarlo. Incredibile come avesse percepito la sua presenza e riconosciuto subito un uomo che non vedeva da lungo, lunghissimo tempo. Non si mosse, aspettò che lui la raggiungesse con calma camminando tra la folla accaldata come voleva il loro antico bon ton.
Lui svettava sul resto dei presenti con la sua altezza fuori dal comune. Aveva sempre un bell'aspetto anche se ora sembrava molto più magro di un tempo. I capelli lunghi e scuri scendevano lisci fino al petto, composti. Facevano un contrasto netto con la camicia bianca, resa brillante dalle luci della pista, e con il gilet rosso sangue che sembrava non indossare da molto. Erano ancora gli abiti dell'ultima volta, quando Dorotea aveva sentito tutti i sintomi che non poteva più sentire ed era scappata per non salutarlo. Lui, potente e meravigliosamente bello, aveva rinunciato a tutto. Quasi anche alla vita stessa, se ci si pensava. Ma Dorotea non pensava a lui da un bel po'.
Ora lui era in piedi davanti a lei e la guardava dal basso verso l'alto mentre lei si agitava sul cubo. Sorrideva.
Dorotea non aveva più pensato alle sue labbra. A come il morbido pizzo scuro le circondava e rendeva evidente il disegno simmetrico che formavano, ai solchi profondi che comparivano sulle sue guance ora esaltati dalla magrezza del viso; ai suoi denti piccoli e allineati di un bianco quasi innaturale. Non riuscì a trattenersi e socchiuse la bocca in un moto d'appetito che trasformò subito in un sorriso altrettanto ampio. Porse la mano destra al suo ospite e attese che la sua presa si facesse più solida prima di lasciarsi aiutare a scendere dal suo piedistallo. Non che ne avesse bisogno. Dorotea aveva gambe lunghe e solide, ben evidenti sotto alla minigonna che indossava, un equilibrio e una velocità invidiabili e nessun timore di mostrare le sue potenzialità ai frequentatori della discoteca. Li conosceva uno a uno, quelli presenti quella sera. Difficile che arrivassero forestieri in settimana. Beh, certo, tranne lui.
Saltò, senza sforzo, per cadere in piedi davanti al suo potente amico. Un po' troppo vicino, forse, ma con gli anni lei era diventata sfacciata. Lui, senza muoversi, irrigidì il corpo aspettandosi un contatto non amichevole. In fondo era lontano da tempo, non poteva sapere se la sua presenza fosse o meno gradita.
Dorotea sorrise ancora e si spinse sulle punte dei piedi per sfiorare le sue guance con un bacio ciascuna. Rapida, delicata, profumata.
Lo straniero si rilassò. Ora gli occhi non erano più tutti puntati su di loro. Come se l'atteggiamento di Dorotea avesse rassicurato tutti. Forse era così.
"Mia signora..." - disse sorridendo, rendendosi conto di quanto lei fosse più giovane di lui e di quanto fosse stupida tutta quella manfrina che continuavano a usare negli incontri ufficiali.
"Mio signore..." - rispose lei, educata e per niente sicura che ciò fosse utile a quel tempo e soprattutto in quel luogo.
"Ero diretto alla vostra residenza per parlare con Mathias - riprese lui - quando ho sentito la tua presenza. Ho pensato che sarebbe stato un gesto gradito passare prima da te."
"Mi fa molto piacere, grazie. - Dorotea abbassò lo sguardo per un istante, poi fissò di nuovo i suoi occhi chiari in quelli scuri di lui. - Mathias è a casa in questo momento, se ti fa piacere rientro con te. Mi sono stancata di ballare."
"Tu? Stanca? - Rise. - Se non fosse stato così urgente ti avrei lasciata continuare fino all'alba... o quasi."
"Ci sono problemi? - Un boccolo biondo le cadde sul viso. - Com'è andata in Tibet?"
"Ci sono problemi. Ho bisogno di tuo padre per fermare una guerra."
"Una guerra?"
"Purtroppo."
Lo straniero la prese per mano, poi andarono via così in fretta che sembrò che volassero.

2 commenti:

Grilloz ha detto...

una guerra si puo' fermare?
(leggeremo...)

PaolaClara ha detto...

dipende dal livello di soprannaturale che c'è in te...
V--V