18.1.21

Riflessioni sparse in un campo minato

 Prima di ogni altra cosa voglio dire che lo so che sono fortunata.

Ho una casa, innanzitutto. Ho la possibilità di contattare gli affetti tramite web e telefono, anche se vivo sola. Ho un lavoro che nonostante i due mesi di cassa integrazione della primavera scorsa - i cui soldi sono arrivati con la calma e la lentezza di un bradipo in letargo, posto che vadano in letargo ma rende bene l'idea - ha ripreso a girare non senza fatica. Quella che era stata la preoccupazione principale del primo periodo di chiusure forzate ha lasciato il posto ad altre, forse meno immediate ma non meno importanti. 

Io non ho mai sofferto la solitudine e non è esattamente solitudine quella che ho sentito. Certo, non poter vedere la dolce metà, non poter frequentare la scuola di pole, non avere la possibilità di trascorrere una serata con le amiche di sempre o gli "amici del sabato sera" alla lunga hanno pesato sul mio umore, ma almeno all'epoca ero abbastanza sicura che le cose sarebbero cambiate. Non speravo nemmeno che tornassero come prima, e se avete frequentato questo blog lo sapete, ma dopo aver avuto lo spazio e il tempo per pensare a come avrei voluto vivere  ero decisa a iniziare a farlo.

Invece no. Da una parte perché c'era l'ansia generale di dover recuperare tutto il tempo "perduto" che ci ha fatto correre - volenti o nolenti - ancor più di prima e non concedendoci in cambio niente più di ciò che avevamo; dall'altra perché si è fatta sempre più chiara l'idea che non era finita affatto e che prima o poi sarebbe stato il momento di richiudere ogni cosa. 

Così i progetti che alla prima volta avevo iniziato a mettere in moto si sono congelati. Io mi sono bloccata. Di nuovo, e peggio.

Ci sono persone che sono abituate a pianificare, a scrivere scalette e rispettarle, a decidere con largo anticipo tutto ciò che desiderano. Io sono istintiva, come artista - se mi passate il termine - non riesco a produrre molto se non vivo. Le cose che mi ispirano arrivano spesso da "fuori": da un sorriso rubato per strada a un gesto, a una voce o un tramonto intenso, ogni istante può suggerirmi le parole per il mio prossimo romanzo o uno spunto per una coreo di pole, o la linea per un disegno. Anche solo limitare il mio sguardo sul mondo mi toglie aria al cervello.

Ma c'è di più. 

Non sono mai stata una persona con progetti a lungo termine, con obiettivi e scadenze, non mi è mai piaciuto fare programmi: mi fa sentire ingabbiata in qualcosa - anche se non è vero - senza possibilità di uscirne. Non che lo sia diventata nell'ultimo anno, ma almeno prima c'erano miliardi di possibilità ogni giorno e questa cosa io non la sento più. 

È come se mi avessero tolto la possibilità di progettare. Di alzarmi con la motivazione per fare qualcosa in più che andare a lavorare e tornare a casa già stanca. Di immaginare, svegliandomi, che la sera a pole potrei tentare questa o quella figura, chiedendo a Nat di aiutarmi o aiutando qualcuna delle mie amiche a fare qualcosa. Di chiedere a Marisa se dopo lezione le va una birretta, o un panino. Di stare fuori dalla fermata della metro a cantare le sigle dei cartoni animati anni '80, anche se non abbiamo assolutamente più l'età. Non solo, è come se con tutto il resto compresa la motivazione a scrivere si fosse spenta in un grosso "a che pro?";  come non ci fosse più niente da dire, o da immaginare, se non un infinito ripetersi di settimane al lavoro e poi casa. Come se la vita fosse già tutta lì e non mi dovessi più aspettare altro. 

E per me, dicevo, va ancora di lusso. Perché più andiamo avanti e più sento amici e conoscenti che perdono speranza e passione, e voglia di lottare ancora, perché ora sembra tutto inutile. Tutto ciò che si è fatto finora nella speranza di costruire qualcosa e tutto ciò che si desiderava aggiungere a quel progetto di vita. Perché alcune persone hanno avuto il coraggio di lanciarsi, investire, faticare e indebitarsi nella certezza di poter fare qualcosa di davvero loro e ora tutto è fermo, tutto è in bilico, tutto rischia di crollare da un momento all'altro.

Come se vivessimo cristallizzati nel tempo, senza possibilità di "fare". Di vivere. 

Ecco, io mi spavento un po' quando mi sento così vuota dentro. Se non posso nemmeno immaginare un domani, oggi è un giorno sprecato. E pur avendo in mente tante storie da scrivere, pur avendo voglia di allenarmi, pur volendo ancora creare io mi fermo, lo sguardo fisso e il pensiero assente, e non riesco a smuovermi da qui. Come se mi avessero portato via il futuro, un boccone per volta. 

Lo dico con tutto il rispetto per chi sta peggio di me e chi mi conosce sa benissimo che non sono mai stata cieca o sorda alle sofferenze altrui; lo dico con rispetto perché leggo e ho letto le vostre storie, le vostre esperienze. Lo dico sapendo che ci sono state cose terribili in questo anno. 

Ma ho paura che ce ne saranno ancora, e non direttamente legate al virus. 

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