15.3.20

Ora

C'è il mio adorato silenzio, intorno.
L'unica cosa che ora mi inquieta è il suono delle ambulanze, ogni tanto, nel debole fruscio del traffico pressoché inesistente.
C'è tempo per mettermi a gambe conserte e respirare, mentre gli animali di casa dormono soffici accanto a me. C'è il modo di pensare a quanto sia piena questa vita, anche nel momento in cui sembra svuotarsi di mille e più cose che da sempre ho "da fare".
Come fosse un obbligo, morale e ancor più pressante di quello attuale, il dover correre a destra e manca dietro a qualcosa che nemmeno più so cos'è.
Il lavoro, la casa, la spesa, la palestra, l'esercizio, lo svago, il cane, il veterinario, il gatto, le pulizie, le mille ricette che non riesco mai a provare, gli amici, le cene a cui portare l'ultima torta che mi è venuta bene... E di nuovo, leggere, scrivere, guardare l'ultimo film di Tizio, avere da esprimere un giudizio su qualsiasi cosa, controllare le notizie, ascoltare musica, i compleanni, gli inviti a cui dirò di no, le attività che in mille pensano possano interessarmi...



Ma per chi?
Per chi lo faccio? Per chi c'è bisogno che io metta l'ultima foto su Instagram, il video in cui faccio vedere che sto al passo, che non mi fermo nemmeno sotto tortura, che sono indomita, coraggiosa, forte. Che non mi stanco mai...
Invece no, capita che io sia stanca. Magari non è tanto una questione fisica, magari è più un fatto mentale. Lo dico da tempo: questo mondo non è il mio, io non sono di qui.
Non proprio, mi dicono gli altri.
Sembro normale e a mio agio, qui. Mi adatto, seguo ciò che il buonsenso mi dice, sono "social" senza esagerare, non mi esprimo mai chiaramente, non prendo posizione. Non mi indigno, non mi lamento più di tanto.
Ecco, in questo momento in cui posso davvero fermarmi e pensare, mi chiedo se davvero è giusto continuare a correre. Io so chi sono, non ho niente da dimostrare. Eppure sembra che ci sia bisogno di farlo costantemente, altrimenti qualcosa non va.
Che poi fermarsi non vuol dire "arrendersi", non vuol dire smettere di fare tutto. Vuol dire solo smettere di correre dietro a tutto e scegliere per cosa correre e per cosa camminare.
Perché siamo esseri umani, non macchine, siamo persone e non animali da traino.

Ho provato ad adeguarmi, certo. In parte sono anche quella cosa lì. Corro. Ma non voglio sentirmi obbligata a farlo sempre. Non voglio che diventi la mia ossessione.
La mia malattia.
Erano anni che volevo farmi il pane in casa, io che poi ne mangio quanto un pettirosso. Oggi l'ho fatto. Lo taglierò e lo riporrò in freezer per mangiarlo pian piano quando serve. Ma non avrei mai avuto voglia di farlo davvero se non avessi smesso di correre...

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